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Roma, Spalletti: “Migliorare la difesa? No va migliorata tutta la squadra”

"Io non amo, come si usa invece spesso fare sui giornali, spezzettare la squadra. Per me la squadra è una sola ed è bella grande, e dentro ci possono entrare tutti i giocatori. In più di una partita i giocatori mi hanno dimostrato di aver...

Redazione

Da Miami a Dubai, il sito ufficiale della Roma ripercorre il ritorno di Luciano Spalletti sulla panchina giallorossa e chiede al diretto interessato di esprimere un giudizio sull’inizio di questa seconda avventura.

Tutto è cominciato con un volo per gli Stati Uniti.

Luciano Spalletti ha raggiunto Parigi da Firenze la mattina del 12 gennaio, per imbarcarsi poi sul volo AZ3560 solamente con il bagaglio a mano, il suo computer portatile e un milione di pensieri che gli vorticavano per la testa.

Era diretto a Miami ma era la Roma il suo pensiero.

Il presidente Jim Pallotta, il suo braccio destro Alex Zecca e il direttore generale Mauro Baldissoni si trovavano già in Florida, in attesa dell’arrivo del tecnico toscano.

I tre si trovavano a Miami per un summit di tre giorni con lo staff giallorosso ma prima avevano un appuntamento con l’uomo che avevano scelto per sostituire Rudi Garcia.

A cena si è parlato esclusivamente di calcio.

Lo stesso è successo il giorno successivo a pranzo.

Il giorno stesso Spalletti ha lasciato la sua stanza del '1 Hotel South Beach' per recarsi, assieme a Zecca e Baldissoni, presso la casa di Pallotta a Miami. Il tecnico toscano, vincitore di due titoli sulla panchina dello Zenit, passa gran parte del viaggio al telefono con gli uomini che sarebbero poi diventati i suoi assistenti.

Nel giardino, dove un grande schermo propone le immagini targate NBC della partita di Premier League tra Arsenal e Liverpool che vede i Gunners condurre ad Anfield per 3-2, Spalletti indica lo schermo del suo computer e spiega nel dettaglio come i difensori giallorossi avrebbero dovuto affrontare un attacco di quel tipo.

Lascia andare il video, quindi mette in pausa e descrive agli ascoltatori tutti i possibili scenari. Nello schermo sopra di loro, Anfield esplode di gioia dopo che il centrocampista gallese del Liverpool Joe Allen trova al novantesimo il gol che pareggia i conti sul 3-3.

Spalletti non si scompone. Non alza lo sguardo nemmeno una volta e non si ferma mai per prendere il respiro. Nella sua testa si sta giocando solo una partita, che non vede impegnate squadre di Premier League.

Successivamente, nella cucina di Pallotta, Spalletti cammina avanti e indietro incollato al telefono. Il tempo è prezioso. Ci sono riunioni da organizzare, persone con cui parlare, video da visualizzare e allenamenti da programmare. Non pensa minimamente a quando finalmente potrà concedersi un po’ di riposo.

Dopo quattro giorni Spalletti sarebbe ritornato sulla panchina della Roma a sette anni di distanza dalla prima esperienza, chiusasi nel 2009. La squadra che eredita sembra aver smarrito la strada e, per quanto i tifosi e i media vogliano essere rassicurati, Spalletti non abbocca. Non è il momento di fare promesse.

“Nel calcio è difficile cambiare le cose da un momento all’altro” mi aveva detto quel giorno nella mia stanza d’albergo. “Ci troviamo in una situazione in cui dobbiamo guadagnarci nuovamente il rispetto di chi ci guarda. Sento troppe chiacchiere, troppe persone che parlano. Dobbiamo lavorare seriamente e da professionisti e assicurarci che – attraverso il nostro lavoro – sia possibile creare delle opportunità per il futuro”.

Il tempo scorre. È il momento di salutare Pallotta e Zecca e di dirigersi verso l’aeroporto internazionale di Miami assieme a Baldissoni.

C’è un aereo da prendere.

Tutto finisce con un volo in partenza dagli Emirati Arabi Uniti.

Il volo EK97 lascia l’aeroporto internazionale di Dubai alle 9.20 di sabato 21 maggio, direzione Roma. Al piano superiore Luciano Spalletti dorme già prima che l’aereo si sollevi in volo.

Dopo 53 partite, la stagione della Roma è giunta al termine la sera prima, con un’amichevole organizzata contro i campioni egiziani dell’Al-Ahly presso lo stadio Hazza Bin Zayed.

Quanto successo dopo il viaggio lampo di Spalletti a Miami lo scorso gennaio è stato qualcosa di eccezionale.

La Roma ha raccolto 46 dei 57 punti disponibili in campionato.

Quattordici vittorie, quattro pareggi e una sola sconfitta hanno portato la Roma – imbattuta in 17 occasioni – a superare sia l’Inter che la Fiorentina, reclamando il terzo posto che garantisce l’accesso ai preliminari di Champions League e facendo registrare la seconda miglior prestazione realizzativa nella storia del club.

Quando più di 50 mila tifosi hanno affollato lo Stadio Olimpico in occasione dell’ultima gara interna della stagione contro il Chievo – partita poi vinta per 3-0 – era evidente come Luciano Spalletti avesse riconquistato il rispetto della gente.

Una vera e propria ascesa.

Mentre l’equipaggio della Emirates va avanti e indietro per il piano superiore dell’aereo, Spalletti è ora pronto a parlare e a riflettere su questa seconda metà di stagione. Si sistema in uno spazio angusto vicino alla fila che conduce all’uscita di emergenza e cerca di non colpire nessuno mentre agita le braccia per spiegare meglio la sua posizione.

“La squadra in questi mesi ha lavorato in maniera corretta con i giocatori che hanno ritrovato le loro qualità” dichiara il tecnico, quasi fosse scontato. “Questo ha poi dato la possibilità al pubblico giallorosso di riavvicinarsi alla squadra e di entusiasmarsi di nuovo ad essa. Il bilancio è positivo: possiamo dire che la Roma c’è”.

Quando è arrivato a gennaio in pochi avrebbero scommesso sulla partecipazione della Roma alle competizioni europee, soprattutto sulla Champions league…

“La squadra stava attraversando un momento non felicissimo e questo purtroppo nel calcio può succedere. Poi si deve anche tenere in conto delle forze degli avversari di quest’anno in Serie A e del fatto che ci possono essere degli alti e bassi nelle prestazioni di squadra nell’arco di una stagione. Oltre a ciò, in questo campionato c’è stato un dato di fatto inusuale rispetto a quelli precedenti e cioè il fatto che in testa alla classifica si sono alternate 4 o 5 squadre, per cui in questi casi ancora di più che in altri la differenza la fa la solidità mentale, la voglia di mettere la testa nel lavoro. I ragazzi hanno lavorato bene e siamo così riusciti a scalare delle posizioni”.

Non è facile assumere la guida di una squadra a metà stagione: era fiducioso di poter incidere subito in maniera così netta?

“Di certo non c’è nulla prima di fare una cosa. Anzi, se vai a vedere il primo periodo, nelle prime due gare, non si è fatto bene. E quello è il segno che tu all’inizio qualcosa hai sbagliato ma ci può stare, nel senso che ti ci vuole un periodo in cui tu devi provare a trovare delle soluzioni. Però quello che è fondamentale è l’azione, devi cioè fare qualcosa e riuscire a trovare la traccia giusta, visto che la qualità dei giocatori già c’era ed è un dato di fatto. Io non sono di quelli che arriva e dice che è tutto merito mio, perché sono loro, i giocatori, che fanno poi le cose in campo. E’ chiaro che poi magari siamo stati fortunati nel direzionare in qualche modo queste qualità dei ragazzi. I giocatori sono fondamentali ma è anche importante riuscire a farli rendere. Se avevo già soluzioni giuste? Non avevo soluzioni pre-costruite, ma delle idee sì. Non è certo facile entrare con le tue idee nella testa di una rosa di 25 calciatori come quella della Roma senza aver fatto prima il pre-campionato e la preparazione, ma può funzionare, come si è visto in questi mesi. Gran parte dei giocatori, da De Rossi a Nainggolan, da Maicon a Keita e Dzeko, per fare dei nomi, sai già chi sono, poi magari vai alla scoperta di qualcosa di nuovo, come ad esempio ho fatto con Digne, Emerson e Uçan che non avevo visto lavorare dal vivo. In generale quindi qui ho trovato molti giocatori di qualità, dentro una realtà importante come è la Roma, su cui lavorare.”

Alcuni sostengono che non sia mai una buona idea tornare dove si è già stati: ha mai avuto dubbi sulla bontà della scelta di tornare a Roma?

“Ci sono delle scelte dettate esclusivamente dalla ragione e altre influenzate dal sentimento. E’ quest’ultima la strada da me percorsa. Per quanto riguarda poi il fattore rischio, questo c’è sempre nel mio mestiere, e io credo che ogni allenatore deve essere preparato al fatto che le cose non possano andare sempre bene, perché può succedere. Certo, questo rischio è sempre più elevato, in quanto a noi allenatori è chiesto solo e sempre di vincere. Nel mio caso, in questa serie A, se arrivi a qualificarti per la Champions hai fatto però il tuo dovere e lo hai fatto bene, in quanto vedi che comunque sono rimaste fuori da questo traguardo squadre di blasone come Inter, Milan, Fiorentina e Lazio. Quando alleni una di queste squadre devi per forza lottare per entrare in queste prime posizioni e quindi quelli che ci arrivano hanno fatto bene con i loro ragazzi: la Roma ha fatto bene, così come il Napoli, la Juve ha fatto benissimo”.

Alla seconda partita della sua gestione è arrivata la sconfitta con la Juve. Da lì in poi la squadra ha inanellato una serie straordinaria di risultati: cosa è successo?

“Ci siamo resi conto di alcune cose. Quella di Torino è stata una gara in cui io ho messo del mio nel fare avere dei timori alla squadra nell’affrontare la sfida perché gli ho parlato troppo di attenzione, di tenere alcune posizioni e di essere squadra in un solo senso. Però proprio con la Juve i giocatori mi hanno fatto vedere la loro disponibilità a fare le cose che chiedevo, anche se gli avevo chiesto le cose sbagliate in quell’occasione, visto quello che è stato il risultato finale della gara. Per cui in seguito ho modificato qualcosa nelle indicazioni e di volta in volta si è visto che si poteva osare di più, chiedere di più e andare più forte. Questi ragazzi qui hanno delle potenzialità ancora più grandi di quelle che hanno fatto vedere”.

La squadra ha chiuso la stagione restando imbattuta per 17 gare e con una sola sconfitta al passivo in campionato: avrebbe voluto che la stagione continuasse?

“Il campionato purtroppo non può proseguire ma quello che hanno i giocatori fatto è un bagaglio che si portano dietro. Il girone di ritorno di quest’anno i ragazzi infatti ce l’hanno addosso. E’ loro. E non è che gli verrà tolto con un periodo di sosta. I calciatori in questi mesi hanno trovato le loro qualità, ricevuto soddisfazioni, trovato entusiasmo, gol e gioco, cioè tutto quello che c’è di positivo dentro una gara di calcio. Questo bagaglio è quindi loro e difficilmente lo scorderanno. E’ stato evidente che è questo quello che loro volevano e cercavano: io ho a che fare infatti con delle persone intelligenti”.

Quale è stata la partita più bella per lei sul piano personale, quella in cui ha avuto impressione che la squadra abbia interpretato al meglio la SUA filosofia di calcio?

“Ce ne è stata più di una. Perché ci sono state quelle gare in cui si è comandato il gioco dall’inizio alla fine, quelle che ci hanno fatto svoltare e quelle in cui abbiamo saputo soffrire e portare a casa i tre punti. Tutte le partite giocate sono state fondamentali per raggiungere quel livello di rendimento e di solidità di gruppo che ha fatto la differenza nel lungo periodo. Se proprio devo scegliere una gara su tutte dico il Derby, che è sempre una partita particolare qui, anche perché tutti aspettavano quella sfida lì per dare alla squadra il passaporto che certificasse ulteriormente la sua qualità. Però devo dire che anche la sfida al Sassuolo è stata importante, una gara in cui siamo andati in vantaggio all’inizio, ma dove poi abbiamo saputo soffrire in inferiorità numerica e con qualche infortunio e portare a casa tre punti importanti. Voglio citare poi pure la vittoria all’Olimpico sul Napoli dove in venti minuti abbiamo perso due dei quattro titolari della difesa che sono giocatori molto importanti nell’economia della squadra e abbiamo vinto lo stesso”.

Con 83 gol all’attivo questa è la seconda Roma più prolifica di sempre. Pensa che la squadra possa fare ancora meglio in attacco o ci sono altri reparti che intende migliorare?

“Bisogna partire sempre dal presupposto che tutto deve essere migliorabile perché bisogna sempre avere il coraggio di andare al di là. Non è la conoscenza la cosa importante, ma l’azione. Per questo motivo si deve avere sempre dei traguardi più importanti da raggiungere, altrimenti poi ci si ferma e questo non va bene. Nel mondo infatti si scoprono da sempre cose nuove: siamo ad esempio appena stati a Dubai dove abbiamo visto che ci sono delle cose che noi non credevamo potessero esistere: finché non le vedi non ci credi. E’ proprio questo il senso di quello che dicevo ed è per questo che noi dobbiamo pensare a progredire perché il futuro ha ancora delle aperture. Ragionando a livello di reparti non si deve poi specificare cosa è migliorabile, perché migliorabile in generale è la squadra nel suo complesso. E’ chiaro che se si vanno a vedere i numeri, si può dire che è migliorabile la fase difensiva. Ma se migliori lì, essendo la squadra un meccanismo complesso e legato, di sicuro si toglie qualcosa nell’apporto che i difensori hanno dato in fase offensiva, perché è evidente che questo apporto in questa stagione loro lo hanno dato, visto che i numeri in attacco sono stati quelli. Quindi in sintesi io dico che si tratta sempre di dare un bilancio a livello di squadra: io non amo, come si usa invece spesso fare sui giornali, spezzettare la squadra. Per me la squadra è una sola ed è bella grande, e dentro ci possono entrare tutti i giocatori”.

Una delle cose che tutti hanno notato è la compattezza che ha trasmesso alla squadra, una squadra in cui tutti si sacrificano per il compagno . Le ha fatto particolarmente piacere vedere questo atteggiamento?

“Questo atteggiamento per me è stato fondamentale ed è un dato di fatto importantissimo. E’ questo infatti l’obiettivo che si cerca di raggiungere e proprio da questo fattore si parte per arrivare a fare dei grandi risultati. Il modo di lavorare giornaliero infatti fa la differenza. Se si va poi a vedere se questo atteggiamento dei ragazzi sia stato apprezzato al di fuori io dico che non è stato sottolineato al punto giusto, ma questo non mi interessa più di molto. Io so che questa è la strada giusta per fare arrivare al successo la Roma intesa come gruppo unico in cui tutti i calciatori sono valutati in maniera corretta e uguale. E’ giusto così perché quelli che al di fuori vogliono fare troppe differenze è chiaro che stanno ad esaltare una situazione ma allo stesso tempo ne deprimono un’altra, ma in quel modo poi non si trova poi la forza collettiva per andare a batterci nel modo giusto contro colossi collettivi come Juventus, Inter e Milan e Napoli”.

Infine molti tifosi hanno detto che lei ha restituito l’orgoglio alla tifoseria. Ha un messaggio per i tifosi che sostengono la squadra?

“Dico solo una cosa: noi ci siamo sentiti forti per tutto il campionato e invincibili nella partita col Chievo dove loro hanno partecipato in massa”.

E a fine luglio tutto inizierà di nuovo. Con un altro volo verso gli Stati Uniti.