"Per valutare le chance residue della Roma contro il Liverpool, è sconsigliabile guardare a dati Champions generali che rischiano di essere pietrificanti come lo sguardo di Medusa. I Reds hanno giocato, dagli spareggi all’andata con la Roma, 13 partite: 9 vittorie, 4 pareggi, nessuna sconfitta, 44 reti segnate e 12 subite. I giallorossi ne hanno giocate 11: 5 vittorie, 2 pareggi, 4 sconfitte, 17 segnate e 17 subite. Come riporta Corriere.it anche dati più mirati, che sembrano più incoraggianti, rischiano di essere ingannevoli: quello, per esempio, sull’inviolabilità interna (all’Olimpico la Roma non ha mai subito gol) è compensato dal suo dato simmetrico, che vede il Liverpool sempre in gol fuori casa. Il punto, comunque la si giri, è uno solo: per riuscire in una nuova rimonta, la Roma dovrà fare all’Olimpico al massimo grado tutto quello che a Anfield non ha fatto (quasi) per nulla. Ma mentre i Reds hanno esercitato quella pressione in modo sistematico e iper-aggressivo, la Roma non l’ha fatto che episodicamente. Ed è questo — molto più dei "duelli individuali" persi evocati da Di Francesco — ad aver incanalato la partita, rimarcando in maniera impietosa le differenze dinamiche e di reattività neuromuscolare tra le due squadre, coi Reds quasi incontrastati nelle loro "uscite di flusso" col pallone e nelle loro accelerazioni sinergiche. Di fatto, se si eccettua la traversa accidentale di Kolarov, i giallorossi hanno dovuto attendere il doppio down dei Reds — atletico e di soglia attenzionale — per penetrare nel loro assetto e trovare i due gol di riapertura del confronto. Fatto sta che ad Anfield tutto si sintetizzava nella diversa lunghezza delle squadre: Liverpool 32,8 metri, Roma 41,3 metri. Gap di densità (di prossimità tra i reparti e i giocatori, vedi lo scollamento tra i tre centrali e i due esterni di difesa) a quei livelli letale, che spiega non solo la diversa pressione sulla palla, ma molto altro, a cominciare dalle difficoltà a esercitare coperture/marcature preventive e quindi a inibire l’ingresso-accelerazione dei tre velociraptor o centisti d’attacco (Mané-Firmino-Salah). All’Olimpico, quindi, il primo imperativo dovrebbe essere quello di accorciare la squadra, ovviamente a baricentro medio-alto. Di più: la squadra corta e densa permetterebbe, da un lato, non solo di inibire, o almeno frenare e deviare, le ripartenze avversarie, ma anche di preparare le proprie, specie se giocheranno due punte larghe accanto a Dzeko; dall’altro, di gestire meglio le eventuali fasi di possesso-fraseggio, predisponendo le citate coperture/marcature preventive sui centrocampisti prima ancora che sulle punte avversarie. In tutto questo, la difesa a 4 può aumentare i rischi ma anche la coesione dell’assetto, e quindi i benefici. Il Liverpool patisce anche su diverse situazioni specifiche: su tiro da fuori; su palla inattiva; sulle seconde palle passive; sui lanci medio-lunghi (vedi gol di Dzeko a Anfield); e addirittura su rinvii diretti del portiere avversario che saltino il loro intero schieramento. Ma tutte queste variabili potenziali — pure importanti — devono essere subordinate all’obiettivo di fondo della Roma e di Di Francesco: indurre nei Reds quella stessa soggezione patita a Anfield, con una partita che non trascuri nessun versante dell’intensità. In sintesi, ci vorrebbe un mix di entusiasmo e consapevolezza, passione e controllo: un mix che si vorrebbe esteso al pubblico tutto, pensando ai momenti drammatici dell’andata e alle condizioni disperate del tifoso dei Reds, Sean Cox. Il tono e il timbro trasmesso da quei momenti può essere superato solo se non sarà rimosso o dimenticato.
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Roma-Liverpool, istruzioni per una rimonta: corti, densi e appassionati
Un maggiore equilibrio rispetto all’andata può inibire le ripartenze Reds e favorire quelle romaniste. La squadra di Klopp ha punti deboli che possono essere colpiti
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