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Roma, l’insostenibile superficialità dell’essere

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Lo sfogo di José dopo l’insostenibile mediocrità dell’essere vista a Praga e Ginevra è un disco che si ripete
Francesco Balzani
Francesco Balzani Collaboratore 

È difficile essere leggeri senza essere superficiali. Lo sono gli artisti, forse anche qualche calciatore che però alla fine della fiera qualcosa l’ha combinata. Pensiamo a Menez o Pjanic, tanto per rimanere alle nostre latitudini. Quelle che oggi vedono protagonista Mourinho, l’opposto della leggerezza. Figuriamoci della superficialità. Lo sfogo di José dopo l’insostenibile mediocrità dell’essere (ci perdoni Milan Kundera) vista a Praga e Ginevra è un disco che si ripete. Non gira a vuoto, ma poco ci manca. A Bodo aveva portato alla grande epurazione, lo scorso anno a qualche scossone benefico. Quest’anno siamo già a tre martellamenti pubblici. Ma chi è superficiale, appunto, non si lascia scuotere l’anima. I nomi non li ha fatti il tecnico, ma non servono tante spiegazioni. Perché si va oltre la valutazione tecnica. Discutiamo di come è entrato Renato Sanches nelle ultime tre volte in cui è stato chiamato in causa. “Ma sta ancora male”, obietterà qualcuno. “Quando mai è stato bene”, potremmo rispondere. La realtà è che sembra un ospite straniero di Sanremo, ansioso di scendere giù dal palco dopo una prestazione in playback.

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La stessa ansia che ci attanaglia quando vediamo Aouar tentare l’ennesima giocata da seduta di riscaldamento tra under 14 in gare che valgono una qualificazione europea. Anche qui non c’entra forma fisica o tecnica, di sballato c’è l’atteggiamento. Superficiale, appunto. Servirebbe un dispregiativo della parola, invece, per definire i cross di Spinazzola. Entrato fresco, uscito col sorriso. Quel sorriso che a volte stona, ce lo perdoni Leonardo. Atteggiamenti che contagiano, che innervosiscono anche quei giocatori che quell’indole la detestano e che finiscono per esserne risucchiati soprattutto quando si gioca lontano dalla confort zone, da quell’Olimpico che aiuta. Alla faccia di chi dice che i tifosi non contano. Ma è solo colpa dei giocatori? A Trigoria sono ammessi comportamenti che sfiorano il paradossale. Smalling dopo aver intascato il rinnovo si è messo a letto in malattia. Nessuno ne parla. “Non si sa quando torna”, si limita a dire Pinto. Come se fosse normale. E non lo è nemmeno gestire un mercato dal “mi prendo ciò che capita”. Perché se decidi di affidare a Mourinho una squadra sai che tra le skill deve essere sottolineata in rosso quella: “giocatori con le palle”. Magari anche oltre le righe. Se non piace, basta cambiare. Senza nascondersi dietro all’ombra di un tecnico che oggi deve fare l’allenatore, il comunicatore, il motivatore, il dirigente e lo psicologo. È arrivato il tempo di scegliere una strada, qualunque essa sia.

 

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