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Roma, il sold out della rabbia: Friedkin apri gli occhi

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Le emozioni nate dopo l’ennesimo derby imbarazzante giocato dalla Roma lasciano il tempo a pensieri cupi, ad analisi che magari fino a qualche giorno fa erano superate da una irrazionale e bellissima intesa tra tifosi e squadra
Francesco Balzani
Francesco Balzani Collaboratore 

“L’emozione non ha voce”, cantava qualche anno fa Celentano. Anche quando l’emozione è negativa, non si riesce magari ad esprimersi con razionalità. Le emozioni nate dopo l’ennesimo derby imbarazzante giocato (o non giocato, come preferite) dalla Roma lasciano così il tempo a pensieri cupi, ad analisi che magari fino a qualche giorno fa erano superate da una irrazionale e bellissima intesa tra tifoseria e squadra. Intesa tutta, come giocatori, tecnico e società. Ieri però qualcosa si è rotto. Per qualcuno improvvisamente, per altri era solo l’evoluzione di un percorso interrotto a Budapest e mai realmente ripreso. La realtà è cronaca: la Roma in campionato oggi sarebbe fuori dall’Europa, è arrivata seconda in un girone morbido in quella che gioca ed è uscita dalla Coppa Italia eliminata da quella squadra che non riesce a battere da quasi 700 giorni. Nessun applauso sotto la Sud, anzi sonori fischi e l’invito a non presentarsi. Nell’era Mourinho non era mai successo. Quell’amore incondizionato visto finora ha subito una crisi, giustificata. È come accorgersi improvvisamente dei difetti del partner, diventati intollerabili. Sui social, nelle radio e nei bar è andata anche peggio.

Monta ora l’hashtag #Mourinhout, a parteciparvi anche tanti sostenitori dello Special One degli ultimi mesi. Sembra paradossale visto che Roma-Atalanta si è giocata 4 giorni fa, ed è stata forse la più bella partita della stagione da parte dei giallorossi in termini di gioco e convinzione tanto da chiedere un rinnovo, che per ora non c’è. Poi ci sono i giocatori. Dopo ieri si salva praticamente solo Mancini. La Roma gioca da tempo senza terzini degni di una squadra che vuole lottare per il quarto posto. La stella più grossa (Dybala) si ferma una volta al mese, con la regolarità di un ciclo mestruale. L’altra (Lukaku) non ha una palla pulita manco a pagarla, e pure quando arriva sembra sorpreso. A centrocampo è corsa all’infermeria con Renato Sanches in testa, poi Aouar e Pellegrini col bigliettino in mano. La difesa la lasciamo stare, se non ci fosse Mancini bisognerebbe appellarsi a Mattarella. E poi la società: senza un ds nel pieno del mercato (c’è Pinto dimissionario ma è come non ci fosse visto che non può comprare), senza un dirigente forte che possa trasmettere il senso di un derby (evitando di parlare di finale nel pre-partita), col piano stadio in perenne sospensione, con l’accordo Uefa che castra ogni speranza di rinforzare seriamente la squadra e quel silenzio dei Friedkin che sembra quasi un dispetto a chi la voce la tira fuori ogni partita. Quella voce oggi cambiata. Da un’emozione scemata, rovinata, disillusa. Pronta a tornare a farsi sentire a San Siro, perché questa Roma tra i tanti difetti ha dimostrato in questi anni di sapersi rialzare e conquistare due finali europee. Sappiamo che oggi non ci credete più, chi vi scrive ci crede a fatica. Ma la stagione non è finita ieri. Semmai c’è da chiedersi quando tornerà la primavera.

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