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Roma, dissociati: così è social-anarchia

C’è chi si affida saggiamente a social manager e chi preferisce gestirli da solo nonostante la giovane età e l’eco che ogni post può avere su una comunità

Francesco Balzani

L’uso corretto dei social. Nella tabella delle regole, scritte o non, di Trigoria riportata da qualche media a inizio stagione compariva tra i capitoli principali proprio quello che è stato, ed è, uno dei tasti dolenti del calcio moderno. C’è chi si affida saggiamente a social manager e chi preferisce gestirli da solo nonostante la giovane età e l’eco che ogni post può avere su una comunità. Qualsiasi essa sia. Ecco, quel capitolo del regolamento a più di un giocatore nella Roma deve essere sfuggito. Nell’ultimo mese Nicolò Zaniolo ha elogiato con un commento il coro di alcuni tifosi romanisti che davano goliardicamente delle prostitute alle mamme dei colleghi laziali. Una piccola vendetta verso chi in Nord spesso apostrofa con lo stesso squallido aggettivo sua mamma. Ma Zaniolo non è né il primo né sarà l’ultimo giocatore (forte, perché se ti insultano quello sei) a sentire offese verso parenti, fidanzate o amici. Eppure Nicolò, redarguito già in estate pure in nazionale under 21, ha pensato bene di scrivere “Grandi” innescando e infiammando ancora più la situazione. Fatichiamo a immaginare un De Rossi o un Totti fare altrettanto, eppure di insulti ne hanno sentiti ben di peggio. Purtroppo. Qualche giorno dopo Lorenzo Pellegrini che seguiva Roma-Cagliari da casa ha pubblicato un post su Instangram con la scritto “E’ una vergogna”. Proprio nel momento in cui Massa assegnava il rigore al Cagliari. Che peraltro c’era, anche se va detto che c’era pure quello di Lecce per la Roma in situazione analoga. Ragazzate, nemmeno troppo gravi.

L’episodio increscioso (sì, non può essere definito altrimenti) è avvenuto stamattina. Cengiz Under ha pensato male di pubblicare una foto in cui festeggiava un gol col classico saluto militare delle truppe di Erdogan e tre bandiere della Turchia. Un chiaro segnale di sostegno all’invasione in Siria delle truppe con la mezzaluna. Opinabile, decisamente. Ma non è questo il punto. Perché Cengiz Under, che è giovane ma non ha 13 anni, veste nella foto la maglia dell’As Roma. Di una squadra che da sempre, e giustamente, lotta contro qualsiasi strumentalizzazione politica tanto più quando si tratta di fatti che possano essere riconducibili a ragioni etniche o di razza. Se Under vuole fare propaganda la facesse con la maglia turca, in canottiera, in pigiama. E rifletta comunque sul peso di un post del genere. Proprio nei giorni scorsi tutto il mondo ha giustamente plaudito alla denuncia pubblica di alcuni messaggi idioti e razzisti all’indirizzo di Juan Jesus che hanno portato al Daspo per un uomo di 36 anni. Oggi vorremmo tornare ad alzarci in piedi per applaudire un gesto del club: si dissoci da quell’immagine. E possibilmente torni a far leggere a tutti i suoi tesserati quel capitolo del regolamento. Se mai è stato scritto. Sappiamo che è una frase, quella di Umberto Eco, inflazionata ma vale la pena ritirarla fuori ogni tanto. “I social media danno diritto di parola chi prima parlava solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel”. Magari non è questo il caso, ma vale la pena rifletterci. Tutti.