Conobbi per la prima volta Mimmo Spadoni, fondatore dello storico Roma Capoccia, in un uggioso pomeriggio estivo di metà luglio a Riscone di Brunico, tradizionale ritiro precampionato dei lupi di allora. Era il 1982 e di lì a poco la Magica sarebbe diventata Campione d’Italia. Io avevo 8 anni. La pioggia cadeva incessante. Mi riparavo a fatica con un ombrello (più grande di me) con i colori della Roma, quello con gli spicchi uno giallo e uno rosso, lo stesso che vedevo ogni domenica “saltare” allo stadio dalle mani di mio padre quando bomber Pruzzo la buttava dentro di testa. Le familiari connotazioni cromatiche di quell’ombrello non sfuggirono a Mimmo, che mi prese subito in simpatia, dimostrando un affetto degno di un nonno dolce e premuroso. Per me, è nata così una grande opportunità: quella di conoscere, crescendo, una persona eccezionale. Mimmo Spadoni, presidente del Roma Capoccia, il club che col suo storico striscione trovava ( e trova tutt’ora) sempre posto in Tribuna Tevere, è stato uno dei più grandi tifosi della storia della Roma. Ma, in fondo, Spadoni era un timido, uno che non amava la ribalta del tifo, uno che la passione per la Roma la viveva intimamente, senza bisogno di tante ostentazioni.
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Roma Capoccia, Venditti e quel ricordo di Mimmo Spadoni
Il fondatore dello storico Roma Club con lo striscione in tribuna Tevere è stato uno dei più grandi tifosi della storia giallorossa
Aveva un grande rapporto con il presidente Dino Viola e con Peppe Giannini, simboli mai sbiaditi di una Roma ancora viva nei cuori. Aveva affidato la presidenza onoraria del suo Roma Capoccia ad Antonello Venditti che, su quel muretto della Tevere, seguiva fianco a fianco con Mimmo tutte le gare casalinghe della Roma. Mimmo, romanista doc nato il 27 settembre (come Totti) del 1937, in questi giorni avrebbe compiuto 80 anni.
Se ne è andato nel 2008, protetto dall’affetto di tutto un quartiere. A Casal Bertone, ancora oggi, nella via dove Mimmo abitava, c’è un messaggio d’amore, scritto con la vernice rossa e firmato CUCS: Mimmo con noi - c’è sul quel muro- ed è l’immagine che ci fa commuovere tutti. Uno che quando ti salutava col solito calore romanista, accompagnava la stretta di mano con il suo immancabile “tuttapposto”, segno distintivo di quest’uomo buono come il pane. Mimmo era la Roma, quella Capoccia, quella “der monno infame” che Venditti aveva dipinto con indubbia genialità canora. Con il cantautore e con suo figlio Francesco, Mimmo aveva un rapporto speciale, perché “Antonello è er più grande de’ tutti” – amava sentenziare Spadoni col suo inconfondibile vocione -.
Spadoni fa parte senza dubbio della storia della Roma e del suo tifo. Quando ho saputo che Mimmo non stava bene, mi è crollato il mondo addosso. Vederlo debilitato nel fisico è stato come un colpo al cuore. Ma la sua anima giallorossa forte, tenace e fiera, non era ancora tramontata. Ed era quella che ci dava tanta speranza che il nostro Mimmo avrebbe potuto farcela anche stavolta. Purtroppo non fu così. Quel giorno di fine novembre 2008, a Casal Bertone, dentro e fuori la Chiesa di Santa Maria Consolatrice, c’erano gli amici di Mimmo. C’era la Roma. C’era Antonello Venditti. C’eravamo tutti. Perché Mimmo ci aveva insegnato cosa fosse la vera amicizia. E perché in fondo, caro Mimmo, anche quel giorno era “tuttapposto”: grazie per quello che, di romanista, ci hai insegnato.
Simone Braconcini
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