(di Alessio Nardo) La mente si annebbia, le idee svaniscono. Il campo si trasforma in una salita ripida, gli avversari sembrano tori scatenati ed il clima generale si fa irrespirabile. Nasce così la giornata storta. Oppure, utilizzando un termine molto di moda negli ultimi tempi, la cosiddetta imbarcata. Circoscritta in quel lasso di tempo in cui, inspiegabilmente, la lucidità va a farsi benedire, i valori assoluti appaiono un concetto astratto e misterioso ed il calcio mostra i suoi lati più bizzarri e imprevedibili. Sino a produrre risultati come quello di ieri a Catania.
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Quel virus che non muore mai
(di Alessio Nardo) La mente si annebbia, le idee svaniscono. Il campo si trasforma in una salita ripida, gli avversari sembrano tori scatenati ed il clima generale si fa irrespirabile. Nasce così la giornata storta. Oppure, utilizzando un termine...
4-1, è mai possibile? No, soprattutto se in campo si sfidano due squadre che in classifica hanno ben 62 punti di differenza. Qualcosa di abnorme. Le 85 lunghezze della Roma contro le 23 del Catania. Un gap abissale, che i 90' del Massimino hanno completamente ribaltato. Cosa è successo ieri? Nemmeno Garcia, il deus ex machina di una stagione quasi perfetta, è riuscito a spiegarselo. In effetti è qualcosa di oscuro, d'irrisolto, che però fa parte del dna di una squadra che ogni tanto ricade nei suoi antichi errori. Chi di noi ieri, parlando con amici, parenti, fidanzate/i o semplici "colleghi" tifosi, non ha detto: "Ma non sembra di rivedere la Roma di Luis Enrique?". Incredibile ma vero. Per novanta minuti, la Roma più bella di sempre (numeri alla mano) si è trasformata nella sua brutta antenata. Quella di due anni fa, che di schiaffi del genere era abituata ad incassarne in quantità industriale.
Un virus. Semplicemente un virus. Forse insito nella mentalità di una squadra (o di una piazza) che, a prescindere da chi siano allenatore e giocatori, talvolta sprofonda nei difetti del passato. Come un fumatore incallito convinto di essere riuscito a smettere e che invece, saltuariamente, non riesce a non concedersi almeno una sigaretta. A quando far risalire le prime imbarcate? Difficile stabilirlo. Anche se è forse la stagione 2004-2005 (quella della Serie B sfiorata) ad aver lasciato un'eredità psicologica pesante. A Spalletti, in primis. Il periodo romanista del tecnico di Certaldo è stato entusiasmante: trofei, bel gioco, grande Roma. Ma anche rare e dolorose "sveglie" (per dirla a modo nostro...), colpi forti e traumatici. S'iniziò nel 2005-2006 con le famose "rimonte subite" (Palermo-Roma da 0-3 a 3-3, Chievo-Roma da 1-3 a 3-3, infine 4-4). Per arrivare, nel 2006-2007, al dramma sportivo di Manchester in Champions League (7-1).
Il campionato 2007-2008 fu straordinario. Molto simile all'attuale. Roma bella, solida e matura. 82 punti ed uno scudetto non vinto solo per motivi "esterni" e ben noti. Eppure, anche in una stagione complessivamente ottima, Spalletti (proprio come Rudi) dovette affrontare alcuni crolli improvvisi ed inspiegabili, come l'1-4 interno con l'Inter (tre gol presi in undici minuti, dal 57' al 68') e soprattutto il famoso 0-3 all'Artemio Franchi di Siena, parente stretto del freschissimo ko di Catania. I veri problemi arrivarono però in seguito. Stagione 2008-2009, sesto posto e Roma irriconoscibile rispetto ai tre anni precedenti. Tante le maxi-sconfitte e disordini difensivi ai limiti del grottesco. Ben quattro gli scivoloni con quattro gol al passivo (contro Inter, Juventus, Lazio e Fiorentina). Una serie di figuracce che di fatto contribuirono a decretare la fine del rapporto tra Spalletti ed il club.
Con Ranieri bene il primo anno (2009-2010). Unici momenti di follia in Europa League, ai sedicesimi di finale, con la clamorosa eliminazione della Roma ad opera del modesto Panathinaikos. Doppio 2-3 in Grecia (con i giallorossi avanti per 2-1 all'81') e all'Olimpico (tre gol subiti in quattro minuti, dal 41' al 45', dopo l'illusorio vantaggio di Riise). Pressoché disastrosa la seconda stagione, segnata da scivoloni a dir poco incredibili. Su tutti, il 3-0 diventato 3-4 a Marassi con il Genoa, ultimo atto della gestione ranieriana. Poi, parentesi Montella a parte, ecco Luis Enrique. E la serie di batoste ahinoi indimenticabili: il doppio 0-3 di Firenze (con tre espulsi) e Torino con la Juve in Coppa Italia, i quattro gol incassati a Cagliari, Lecce e Bergamo e di nuovo allo Juventus Stadium. Sino alle illogiche disfatte zemaniane (da 2-0 a 2-3 contro il Bologna, i crolli esterni con Juve e Napoli ed il 2-4 interno con il Cagliari).
Rudi Garcia rappresenta un elemento di forte discontinuità, soprattutto rispetto alle ultime tre stagioni. Questo non va assolutamente dimenticato. Anzi, è persino banale e sciocco rimarcarlo. Il lavoro del tecnico francese resta meraviglioso, tuttora sorprendente. Secondo posto in classifica, svariati record battuti ed una solida base costruita per il futuro a grandi livelli della Roma. Però una gara come quella di ieri non deve più ripetersi. Al di là dell'antipatia sportiva (reciproca) con il Catania, ne va della credibilità di una squadra forte che vuol presentarsi nel 2014-2015 con l'idea di vincere davvero. Perdere ci può stare, perdere così no. E non va dimenticato lo 0-3 di Napoli in Coppa Italia (con il secondo ed il terzo gol incassati nei primi 5' della ripresa). Altra parentesi negativa stagionale. Gara che, se affrontata con un po' più di attenzione e concentrazione, ci avrebbe consegnato una finale d'oro. Che invece qualcun altro ha potuto giocare e vincere. Tutto ciò serva da lezione per il futuro, ed aiuti la Roma a migliorarsi ancora.
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