Miralem Pjanic, uno dei protagonisti della stagione della Roma, ha rilasciato un’intervista esclusiva al Guerin Sportivo a firma di Fabrizio Pastore. Ecco le sue dichiarazioni:
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Pjanic: “Sono romano e romanista”
Miralem Pjanic, uno dei protagonisti della stagione della Roma, ha rilasciato un’intervista esclusiva al Guerin Sportivo a firma di Fabrizio Pastore. Ecco le sue dichiarazioni:
Garcia ha dichiarato che pensa ancora al primo posto. Ci credete?
Certo. È vero che la Juventus sta disputando un campionato eccezionale e che ha ancora un discreto vantaggio però possiamo dire la nostra. Vogliamo vincere ogni partita e prendere il massimo dei punti, i conti si faranno alla fine.
Cosa avete in più o in meno rispetto a Juventus e Napoli?
Forse i giocatori della Juve hanno maggiore esperienza, sanno come gestire le pressioni da primato, sono abituati a vincere. Formano un gruppo consolidato, da tre anni con lo stesso allenatore. Rispetto a loro, noi abbiamo avuto tante novità ma stiamo disputando un grandissimo campionato. È un dato di fatto che nessuno ci potrà più togliere. Anche il Napoli è una buona squadra, non mollerà.
La vostra straordinaria stagione è figlia dell’epilogo amaro di quella passata?
Sicuramente ha influito molto la nostra voglia di rivincita. Poi è arrivato un nuovo allenatore, nuovi giocatori di grande esperienza internazionale. Ma anche noi "reduci" volevamo riscattarci perché nelle prime due stagioni avevamo fallito gli obiettivi. Anche quelli erano gruppi con ottime qualità. Purtroppo non siamo riusciti a metterle in mostra come avremmo voluto e dovuto.
Cosa è cambiato da allora?
Adesso andiamo nella stessa direzione, giocatori e allenatore. Siamo molto uniti e tutti credono nelle idee di mister Garcia. Lui è molto preparato, sta facendo benissimo, anche considerando che è al primo anno in Italia. Ci chiede sempre di più, punta in alto e non ha paura di nessuno: tutte doti che è riuscito a trasmettere alla squadra, dando fiducia a ciascuno di noi.
Qual è stato il momento della svolta?
Le prime partite: abbiamo iniziato subito bene, quando vinci e dimostri di essere superiore agli avversari trovi convinzione nei tuoi mezzi. Abbiamo anche avuto un enorme aiuto dai nostri tifosi, che sono davvero straordinari. Nonostante le delusioni degli anni precedenti, ci sono stati vicini dall’inizio, dandoci forza.
Garcia ha inciso più sul gioco, sulla testa o sulla coesione dello spogliatoio?
Ha lavorato molto sulla testa, restituendoci fiducia. Appena è arrivato a Trigoria, ha capito subito che diversi giocatori psicologicamente non erano al meglio. Però ha intuito anche che c’era già tanta qualità in questa rosa. Ci ha trasmesso le due idee, mettendo in chiaro le regole e unendo la squadra. Fin dal ritiro di Brunico si è percepita un’atmosfera diversa, l’ambiente era meraviglioso. Poi i primi risultati positivi ci hanno dato la giusta carica.
È stato proprio il tecnico francese a pretendere la tua permanenza
E’ vero, è stato decisivo nel convincermi a restare. In estate abbiamo parlato a lungo, mi ha responsabilizzato dicendo che avrebbe contato molto su di me. Ma ha influito anche la sua idea di gioco, che esalta le mie caratteristiche. In questo è simile a Luis Enrique: la loro filosofia si sposa con il mio modo di stare in campo.
Avevi già conosciuto Garcia in Ligue 1: te lo aspettavi così?
All’epoca non sapevo come lavorava, non lo conoscevo personalmente. Ricordo che era molto complicato affrontare il suo Lille: ha vinto il titolo praticando un bel calcio, offensivo ma efficace. Però mi mancava la quotidianità, i rapporti con i giocatori, per poter dare un giudizio completo. Adesso lo so, vedo come lui e il suo staff gestiscono la squadra e capisco perché è riuscito a far bene ovunque sia stato. E’ un allenatore moderno che parla molto con i suoi calciatori e sa ascoltarli. Ha idee chiare, nelle quali crediamo anche noi: perciò tutto funziona bene.
La tua annata è eccezionale anche per i traguardi storici raggiunti con la Nazionale bosniaca. Cosa ti aspetti dal Mondiale?
E’ la prima volta che la Bosnia approda alla fase finale. Spero di arrivarci in buone condizioni fisiche, di concludere bene una stagione che finora mi ha dato grandi soddisfazioni. In Brasile, l’obiettivo è passare il girone: poi si vedrà. Per noi sarà tutto nuovo, ma certamente non vogliamo fare soltanto i turisti. Abbiamo giocatori di esperienza, in fondo sono partite come tutte le altre e ci teniamo a fare bella figura.
(…)
Nella Roma ci sono Ljajic e Jedvaj, un serbo e un croato della tua generazione. Vi siete confrontati su quanto è accaduto nelle rispettive terre d’origine negli Anni 90?
Non mi è mai capitato. Quei discorsi riguardano il passato e noi non abbiamo vissuto la guerra. Quando torniamo a casa i più anziani ci raccontano quel periodo, ma tra noi non se ne parla.
Ljajic ha dichiarato che chi è cresciuto dove cadevano bombe non può temere i fischi allo stadio
Io non ho mai avuto paura dei fischi. Certo a nessuno fa piacere riceverne, ma fa parte del mestiere. Il resto è pensiero di Adem, in base alle sue esperienze di vita.
Hai vissuto tra Bosnia, Lussemburgo e Francia, ora sei in Italia. Dove ti senti a casa?
In Bosnia ho le mie radici, la gente mi accoglie bene. Al Lussemburgo sono affezionato, ho trascorso lì la mia infanzia. Ci sono molti posti dove torno con piacere, ma se devo scegliere dove sentirmi a casa, allora dico Roma. Mi trovo benissimo, in tutti i sensi: per vivere, per giocare. E non lo dico perché ora sto qui.
In passato hai detto che ti affascina l’atmosfera degli stadi inglesi, con gli spalti a ridosso del campo. E’ il contatto con il pubblico che ti fa amare il calcio?
Sì, è l’aspetto più bello. Ma voglio aggiungere una cosa: non so se esistono tante squadre che hanno una Curva come la nostra Sud. Quando anche noi avremo uno stadio sul modello di quelli inglesi e con una Curva cosi attaccata al campo, sarà un disastro per ogni avversario e un sogno per chi gioca nella Roma. Spero che in Italia ogni squadra arrivi ad avere uno stadio di proprietà, sarebbe uno spettacolo.
A proposito del nuovo stadio della Roma: ti piace il progetto? Che segnale rappresenta per il futuro?
E’ molto importante, ogni grande squadra europea ha uno stadio moderno. Anche la Juve ha ricavato vantaggi dal nuovo impianto. Ma una tifoseria come quella della Roma non ce l’hanno in molti. Sarebbe una combinazione speciale, unica. Guardiamo al progetto con occhi grandi, speriamo si faccia presto.
(…)
Hai giocato anche con le curve chiuse. Che sensazione ti ha trasmesso uno stadio mezzo vuoto?
Molto brutta. Per noi calciatori ovviamente non è la stessa cosa. Si devono trovare soluzioni diverse, anche il calcio italiano ci rimette. Poi mi sembra che sia toccato troppe volte a noi. Posso dirlo?
Credi ci sia stato accanimento nei confronti dei tifosi della Roma?
Non lo so, ma secondo me si sente anche di peggio su altri campi e non ci sono le stesse sanzioni. Devono trovare un limite, per chiudere una Curva deve accadere qualcosa di molto grave. A volte non è successo.
Cosa pensi del concetto di discriminazione territoriale?
Sono in Italia soltanto da tre anni e non so bene cosa ci sia dietro, perché si sia arrivati a questo punto.
E’ giusto chiudere i settori di uno stadio?
Se sono cori razzisti si. Ma ovunque andiamo a giocare sentiamo cori contro i romani. Cosi si rischia di chiudere tutto. Sarebbe meglio se i tifosi smettessero, ma quello che abbiamo visto finora è esagerato.
In Francia sei cresciuto accanto a Juninho, hai ereditato la sua maglia del Lione e il suo modo di calciare le punizioni. E’ il tuo modello?
Mi sono allenato con lui ma il suo modo di calciare è unico. Ognuno la sua tecnica e anche i piedi hanno forme diverse. Ma mi ha aiutato tanto nei miei progressi sui calci piazzati.
E con Totti come funziona?
Tiro spesso anche qui. In fondo se Francesco non mi avesse lasciato calciare le punizioni non avrei mai segnato cosi.
C’è una gerarchia prestabilita sui tiri piazzati?
Il mister scrive chi sono i giocatori preposti, poi tra questi si decide sul campo, a secondo del momento.
Pjanic, De Rossi, Nainggolan, Strootman: è il centrocampo più forte della Serie A? Cosa vi manca per disputare una Champions di alto livello?
Stiamo facendo il percorso per tornare in Champions, ma siamo già completi. Non siamo solo noi quattro, ce ne sono altri. Anche l’attacco è forte, la difesa prende pochissimi gol, una grande squadra deve avere sempre giocatori di qualità e noi possiamo contare su tutti.
Sui social network hai manifestato grande affetto per Strootman dopo il suo infortunio. L’anno scorso dedicasti un gol a De Rossi in un momento delicato per lui. La vostra intesa dipende dal rapporto umano?
Siamo compagni, ma anche amici e ci vogliamo bene. È importante avere accanto chi è mentalmente in forma, cosi in campo è più facile aiutarsi. Noi vogliamo il bene della Roma, perciò è sempre meglio avere tutti contenti.
Come va il tuo ginocchio?
Adesso sto molto meglio. Ho preso un colpo duro sul collaterale nella partita contro la Juve a gennaio. Non è stato semplice, ho giocato per due mesi con dolori anche molto forti. Ma ormai l’infortunio è alle spalle e ne sono felice.
(...)
Il ds della Roma Sabatini e tuo padre affermano che si capisce come giocherai fin dai primi minuti. Ti conoscono bene o sono due intenditori di calcio?
Conosco Sabatini da poco, ma ho capito che lui conosce molto bene me e il calcio in generale. È una persona che mi piace, molto preparata, e mi piace parlare con lui perché sa quello che dice e sa aiutare quando è il caso. Mio padre è da sempre al mio fianco, dall’inizio fino a ora.
(…)
Hai detto che il calcio ha salvato la vita a te e alla tua famiglia. Adesso cosa rappresenta?
E’ sempre stato molto importante, ora ho la fortuna di fare di ciò che amo il mio mestiere, di arrivare ogni giorno felice a Trigoria, di divertire i tifosi e divertirmi.
Hai un sogno?
Sogno di vincere il più possibile. Ho tanti obiettivi, personali, con il club e con la Nazionale. Lavoro ogni giorno per migliorarmi e per essere ogni anno più forte. E sogno che la gente non dimentichi il mio nome.
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