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Perotti: “Totti faceva un altro sport. Volevo smettere, con Gasperini sono rinato”

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L'ex attaccante giallorosso racconta: "Gli infortuni sono stati un tormento, a 23 anni non ce la facevo più"
Redazione

Diego Perotti non dimentica la Roma. Non potrebbe mai, dopo le tante battaglie vissute in campo, ma soprattutto un legame fortissimo con i colori giallorossi e la città, che ancora oggi può chiamare casa sua. L'argentino racconta la sua carriera in una lunga intervista a 'gazzetta.it':

La Roma la segue ancora? “È praticamente l’unica squadra che guardo giocare, sono innamorato di Roma e della Roma. Vedo tutte le partite. Ha una squadra da Champions e lì merita di stare. Credo che per raddrizzare la stagione non servisse niente di speciale, se non avere rispetto dei ruoli e della piazza. Esattamente quello che ha fatto Ranieri”.

E della 'sua' Roma che ricordi ha? “A Roma posso dire di aver vissuto senza dubbio gli anni più belli della mia carriera. Eravamo una squadra pazzesca, soprattutto i primi anni. C’erano giocatori fantastici: penso a Salah e Dzeko, a Nainggolan, De Rossi, Rudiger e tantissimi altri. Oggi una rosa del genere lotterebbe per il primo posto. In più, eravamo allenati da un genio come Spalletti. E non ho nominato Totti… lui faceva un altro sport”.

È stato quello che in carriera più di tutti l’ha impressionata? “Si, Francesco era veramente incredibile. A volte lo guardavi e pensavi ‘ma veramente io gioco con questo qui?’. Io sono cresciuto al Boca con il mito di Riquelme e Francesco lo metto con lui nel mio Olimpo personale. Tirava in porta come nessuno al mondo. E poi i lanci, i tocchi di prima nello spazio, i colpi di tacco. Era magia pura. Era incredibile. A volte lo guardavi e pensavi ‘ma veramente io gioco con questo qui?"

Adesso facciamo un passo indietro. Lei arriva in Italia al Genoa e trova Gasperini come allenatore. In cosa era diverso dagli altri? “Gasp mi ha cambiato la carriera. Io arrivavo da Siviglia, ero demotivato e vivevo con la paura di farmi male di nuovo. In più, non capivo la lingua. Lui, invece, mi ha fatto rinascere. Ha modificato il mio modo di vedere non solo il calcio, ma anche la vita. Ho tantissimi ricordi che mi legano a lui. Due cose su tutte: l’intensità che pretendeva e la sensazione, quando entravamo in campo, di poter fare almeno 2 gol a tutti. Gasp mi ha cambiato la carriera. Io arrivavo demotivato da Siviglia. Lui, invece, mi ha fatto rinascere".

Veniamo a lei. In Italia la ricordano ancora in tantissimi per il suo modo di calciare i rigori. Si può dire che sia stato il migliore in Italia nel tirarli? “Dai questa medaglia me la prendo. Nei rigori ero il migliore in italia. E non ne trovo uno più bravo di me nemmeno oggi in Serie A. Li tiravo in un modo speciale. Ho imparato grazie ai portieri del Siviglia che si fermavano con me a provare a fine allenamento. Camminavo, quasi fino a fermarmi e poi calciavo. Poi ci vuole una certa personalità a camminare al derby sullo 0-0 con 70mila persone che fischiano”.

Poi un tasto dolente, ma inevitabile: gli infortuni. Quanto l’hanno segnata? “Gli infortuni sono stati un tormento. In carriera ne ho subiti 39, tra strappi, fastidi muscolari e chi più ne ha più ne metta. Non ho mai avuto infortuni gravi, ma erano continui. Giuro, non so cosa avrei pagato per passare un anno intero senza mai farmi male. Chissà che carriera sarebbe stata…”

È vero che addirittura ha pensato più volte di mollare tutto e dire basta, tanto era il dolore? “Prima del Genoa volevo smettere: non dormivo, avevo paura di camminare e farmi male. Se a 23, 24 anni stai così, non ce la fai più. Avevo perso la serenità nell’andare al campo e volevo dire basta. Mi sono dato un’ultima chance e ho trovato Gasperini. Ma poi nel corso della carriera ci sono stati altri momenti in cui ho pensato di mollare. Quando ti fai male e non capisci perché, diventa frustrante”.