Friedkin sarebbe potuto entrare nella Roma già tre anni fa, come socio, ma aveva detto di no. Non avrebbe fatto lo sceicco, riporta "La Gazzetta dello Sport", ma di sicuro avrebbe garantito la permanenza dei gioielli e poi, dopo una stagione di transizione, avrebbe proposto una politica espansiva. Tra l’altro, proprio il tempo perso ha giocato contro. Adesso infatti che tra i due magnati è calato il Grande Gelo (per ora), escono fuori tanti retroscena.
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Pallotta-Friedkin, dalle offerte rifiutate alle ultime mail: ecco i retroscena della rottura
A fine 2019 la Roma era stata valutata circa 700 milioni, poi a metà febbraio il texano è sceso a 610
La Roma a fine 2019, prima di completare la “due diligence”, era stata valutata circa 700 milioni. Dopo aver visto i conti, la prima offerta di Friedkin era stata di 660 milioni (che avrebbe consentito a Pallotta & Soci una plusvalenza di 30 milioni), condizionata però all’esito del mercato di gennaio, che doveva prevedere almeno le cessioni di Pastore e Juan Jesus.
Fallito l’obiettivo, a metà febbraio Friedkin abbassò l’offerta a 610 milioni. Il tergiversare di Pallotta, però, fece scorrere i calendario fino ai primi di marzo, con lo scoppio della pandemia e il relativo stop. Per la Roma, nessun precontratto era stato firmato, perché si sarebbe andati direttamente alla firma. Il resto è storia nota, con lo scambio frenetico di mail dal 10 al 28 maggio sull’asse Marc Watts (per Dan) - Bob Needham (per Jim) e l’ultima offerta di 575 milioni (di cui però 85 messi nel club) conclusa dal messaggio diretto fra i due magnati che sanciva la rottura.
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