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Nakata: “Totti? Rispetto a Miura è un giovincello. Dopo il ritiro ho viaggiato per undici anni”

Il centrocampista giapponese, campione d'Italia con la Roma di Capello, si è ritirato dal calcio giocato a soli 29 anni

Redazione

Hidetoshi Nakata, campione d'Italia con la Roma di Capello e una carriera sportiva interrotta sul più bello, a 29 anni. «Rimpianti? Ci sono sempre. Quando ci penso vorrei aver giocato di più, ma un giorno devi smettere. Uno smette presto, uno smette più tardi, ma un giorno devi decidere e farlo. Io ho giocato a pallone perché mi piace giocare, per passione, poi è diventato il mio lavoro, ma continuo ad avere quella passione. Il calcio non era uno sport era anche la mia famiglia. Ogni tanto incontro qualcuno, ai meeting della Fifa o in giro per le partite di beneficenza. Prima i giocatori erano un po' egoisti ma oggi facciamo amicizia più di prima. Con alcuni siamo diventati amici dopo la carriera da calciatore» ha raccontato il giapponese ad Adnkronos.

Hidetoshi ha un anno in meno di Totti, che sta ancora li a stupire tutti: «Se ho sentito Totti? Non mi è capitato, e non ho il telefono di nessuno. Poi sta ancora giocando, magari quando smette viene a giocare qualche gara di beneficenza e ci incontriamo. Sono contento di sentire che Totti sta ancora giocando e fa ancora gol. Quando dovrebbe smettere? Nessuno può dirlo. In Giappone abbiamo Miura, che ha giocato a Genoa, che a quasi 50 anni ancora gioca e segna anche. Rispetto a lui Totti è un giovincello...Voi parlate di Totti ma Miura ha dieci anni in più...».

Il calcio è stato la sua vita per molti anni, ma adesso Nakata fa il designer di gioielli, insieme a Giorgio Damiani, ma è anche un produttore di sakè. Il calcio rimane comunque importante per lui e può essere l'occasione per fare qualcosa d'importante: «Il calcio deve essere usato oltre lo sport, con un altro obbiettivo. Il calcio non è uno sport, il calcio è la più importante lingua del mondo. Siamo andati in Africa, abbiamo giocato a pallone e abbiamo fatto amicizia subito anche senza parlare la loro lingua. Abbiamo instaurato subito un rapporto. Io allenatore? No, giocare mi piace, ma non mi piace insegnare, commentare o guardare il calcio, volevo e lo faccio ancora, solo giocare. Del resto la bellezza del calcio è che ovunque vai qualcuno ti riconosce, fai subito amicizia e poi gli italiani li trovi dappertutto. Dopo aver smesso di giocare a calcio ho prima viaggiato quattro anni per il mondo, poi sono tornato in Giappone e l'ho visitato da nord a sud con una macchina, toccando 47 città, ci ho messo sette anni».