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Mourinho: “L’attacco con Abraham, Shomurodov e Mayoral mi rende felice”

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Le parole dell'allenatore giallorosso: "Prima di tutto, devo dire grande direttore e grandissima proprietà: il boss Dan, Ryan e Tiago sono stati bravissimi. Perché la realtà è che abbiamo iniziato il pre-campionato pensando di avere Dzeko"

Redazione

Dopo la conferenza stampa di presentazione, torna a parlare José Mourinho ai canali del club giallorosso. Tanti gli argomenti trattati, dalle amichevoli fino al calciomercato. Ecco le parole dell'allenatore giallorosso:

Che bilancio può fare dei primi 40 giorni di lavoro? Tanto lavoro. Sono molto contento, sono state settimane di tanto lavoro ma fa piacere quando hai tanta gente che vuole lavorare, che vuole migliorare, che ha grande motivazione e che ha voglia di fare bene. Non parlo solo dei giocatori ma di tutti coloro che hanno fatto parte del pre campionato. Temperature difficili. Imparare a giocare come squadra allo stesso tempo parliamo anche di organizzazioni dei diversi dipartimenti interni del club e intorno alla squadra, senza dimenticare un mercato super difficile e tanto lavoro per il direttore e per gli scout, oltre che per la proprietà. Adesso arriva il momento che piace a tutti. Anche se sono uno che dice sempre che non gli piace la parola amichevoli, abbiamo cercato di prenderle come una motivazione per tutti. Domenica con la Fiorentina si gioca a punti e giovedì in Conference League ad eliminazione diretta.

Partiamo dagli allenamenti, è sembrato molto soddisfatto dal lavoro del gruppo. Sembra che le piace... Mi piace tanto, non posso dire molto di più, mi piace tanto. Penso che sia piaciuto a tutti, abbiamo lavorato con alta intensità, perché è la nostra filosofia. Poi ti alleni come tu giochi, vogliamo farlo con intensità. C'è anche un lavoro invisibile, più difficile da capire da fuori, che è un lavoro di palestra, prevenzione e recupero. Abbiamo cercato di trovare una direzioni con belle sensazioni e abbiamo tanta gente che sta lavorando insieme ai giocatori: preparatori atletici, sports sciences, dipartimento medico... abbiamo un rapporto molto buono a livello di programmazione delle sedute di allenamento e penso che i giocatori lo sentono. Il lavoro è duro ma sentono l'organizzazione dietro. Secondo me hanno la sensazione che si può arrivare fino in fondo che tutto è sotto controllo.

Quanto è stato importante poi, in Portogallo, vivere così a stretto contatto per la squadra? I quindici giorni qui a Trigoria, più o meno, sono stati buoni per iniziare un primo contatto, affinché io conoscessi loro e loro conoscessero me. Qui siamo stati insieme per qualche giorno, non solamente per allenarci: siamo rimasti qui anche a cena, qualche giorno anche a dormire, esattamente per accelerare quel processo lì. Ma il Portogallo è stato fondamentale. Non lo dico perché è la mia casa, non perché sia il Portogallo, ma per il fatto che la squadra è stata insieme 24 ore su 24, praticamente due settimane. E lì si capisce tanto. Credo che dal Portogallo siamo andati via migliorati come squadra dal punto di vista tecnico-tattico, però principalmente migliorati come gruppo, grazie a una conoscenza più profonda. E questo è fondamentale, perché alla fine questa è la famiglia. Se arriveremo alla fine del campionato, ci renderemo conto che saremo stati più tempo con questa famiglia che con la famiglia di casa, di sangue. E dobbiamo sentirci, come credo che ci sentiamo in questo momento: la squadra è veramente unita.

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Con lei è arrivato un nuovo staff, che si sta integrando con i collaboratori già presenti, a più livelli: quanto è stato importante il contributo dello staff in questo primo periodo della stagione? Da solo è difficile. Mi piace gente che ha delle capacità, però che ha anche delle motivazioni grandi per lavorare insieme. Nel calcio sembra che ogni allenatore che arriva, arrivi in pullman e con un pullman pieno di collaboratori: noi siamo arrivati in una piccola Hyundai, perché siamo pochi. Siamo pochi, però adesso siamo tanti. E siamo tanti perché abbiamo preso gente “di casa”, gente con capacità, gente con voglia di imparare, non dico imparare in senso assoluto, dico imparare a lavorare con me, che è una cosa diversa. Abbiamo dato l’opportunità anche a gente giovane del settore giovanile - un preparatore che dalla Primavera si è unito alla prima squadra – perché è questo il nostro modo di lavorare. Non mi piace dire “ho bisogno di prendere 12-15 persone in più”, no, ho bisogno di prendere uno di ogni dipartimento che mi può aiutare a implementare una filosofia di lavoro. Però dopo esiste sempre gente all’interno del club, gente con capacità, gente che merita un’opportunità. Abbiamo fatto questo e sono veramente felice, perché oggi non posso dire “il mio staff di cinque collaboratori” – questo staff infatti non esiste più – oggi esiste il mio staff con 20 collaboratori. E come squadra, anche noi, sentiamo questa unità e penso sia molto importante per noi, come staff tecnico, ma anche per il club, perché un giorno sarà la Roma senza José e quando questo giorno arriverà, vogliamo lasciare quello che facciamo sempre in ogni club, vale a dire una struttura super organizzata, in grado di dare seguito a un lavoro. Però speriamo che la Roma senza José non sia presto, speriamo che sarà tra tanti anni.

Prima ha parlato delle amichevoli. Sicuramente sono arrivate delle indicazioni: cosa l’ha convinta e in che cosa si aspetta dei miglioramenti da parte della squadra? Amichevoli per te, non per noi (sorride, ndr). Non abbiamo fatto delle amichevoli, però in effetti abbiamo iniziato qui con qualche squadra ovviamente di una serie diversa dalla nostra – Serie B, Serie C – e in questo caso è stato più per la continuità con le sedute di allenamento. In Portogallo abbiamo trovato già delle squadre di Champions League, perché Porto e Siviglia sono due squadre che giocano la Champions, due squadre di un livello altissimo: e già quelle due partite sono state importanti. Dal punto di vista dell’organizzazione difensiva, siamo andati molto molto bene – abbiamo subito un gol contro il Porto al novantesimo – con la squadra organizzata molto bene, per seguire i principi sui quali abbiamo lavorato. In fase di possesso palla abbiamo capito che c’è tanto ancora da migliorare: voglio più controllo nel gioco, voglio più intensità nell’uscita in transizione. Anche da un punto di vista del posizionamento, stiamo preparando la squadra per giocare in un modo diverso rispetto a quello che facevano negli anni precedenti. Ovviamente c’è bisogno di tempo, però siamo migliorati tanto. Dal punto di vista emozionale, emotivo, competitivo, la squadra mi è piaciuto tanto. Porto e Siviglia sono due squadre aggressive, sono due squadre difficili con cui giocare. Quella piccola rissa contro il Porto mi è piaciuta tanto, in termini di controllo delle emozioni, non è successo niente di particolare che possa andare dal cartellino giallo al rosso, semplicemente è stata una partita molto molto buona dal punto di vista della competitività. Con il Betis è un’altra storia, è una storia – penso io – che ha tanti responsabili per il modo in cui la partita è finita. Secondo me, il primo responsabile è l’arbitro e il secondo responsabile sono io, perché non posso essere io a provocare quello che è successo dopo, perché la squadra mi ha seguito nella mia reazione emozionale e abbiamo finito con tre-quattro cartellini rossi. Ripeto: responsabilità mia. Però mi piacerebbe anche che l’arbitro arrivasse a casa e pensasse “ma che ho fatto io di un’amichevole buona, una partita che era stata buona, che ho fatto io per farla finire così?". Però io prendo le mie responsabilità per quanto successo. La squadra è arrivata lì veramente stanca: era l’ultimo giorno, l’ultima partita, tre ore e mezza di pullman dal Portogallo a Siviglia, un caldo assolutamente incredibile, anche se abbiamo giocato di sera. E non posso dimenticare, perché è la verità, la situazione Dzeko: è stata una situazione strana. Si capiva che sarebbe andato a un altro club, però si respiravano un po’ di dubbi: “lui va via, arriva qualcuno, non arriva…” Ho sentito i giocatori molto più preoccupati da questa situazione che concentrati sulla fine del ritiro precampionato. Peraltro in quella partita per me, per 50-55 minuti, siamo stati un’altra volta veramente competitivi con un bravo Shomurodov, che era arrivato due giorni prima e che ha subito fatto capire alla gente che giocatore abbiamo, e dopo è finita male. Però magari è anche buono per noi, perché dopo questo, abbiamo avuto il giorno di riposo e, quando siamo tornati, abbiamo analizzato tutto quello che è successo durante la partita: di positivo, di negativo e in quel momento lì io sono stato come sono io, io ho detto ai giocatori, come ti dico a te, “io sono il responsabile per la mancanza di controllo emozionale che abbiamo avuto lì. Però il Portogallo è stato un periodo di quindici giorni molto, molto importante per noi.

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Ha parlato anche di Dzeko: poco prima di tornare in Italia si è trovato ad affrontare questa situazione. Intanto, in attesa della formalizzazione della trattativa, ieri è arrivato a Roma Tammy Abraham. Quanto sarà importante il suo arrivo per il vostro progetto tecnico? Prima di tutto, devo dire grande direttore e grandissima proprietà: il boss Dan, Ryan e Tiago sono stati bravissimi. Perché la realtà è che abbiamo iniziato il pre-campionato pensando di avere Dzeko ed è stata un po’ una sorpresa per tutti noi quello che è successo. In un mercato incredibilmente difficile e in una situazione economica, vorrei dire per tutti, però per quasi tutti i club, difficile, avere la disponibilità, avere l’ambizione, avere questo rispetto per l’emozione dei tifosi, avere questo tipo di reazione, dopo aver perso Dzeko, di portare a casa Tammy Abraham, è stato, quello che voi italiani dite sempre, il colpo di mercato, tanto che dal mio punto di vista, anche se lui non fosse arrivato, io avrei avuto sempre la sensazione positiva che la mia proprietà e il mio direttore avessero fatto tutto il possibile per avere una reazione fortissima a un giocatore come Dzeko che è partito. Loro sono stati fantastici. Su Tammy, io preferisco dire “aspettate e vedrete”, lo dico con tutta la mia fiducia. Lo conosco da bambino, non ha giocato mai per me, perché quando io ero al Chelsea lui era veramente un “bambino” di 14-15-16 anni, però lo conosco molto molto bene, lo conosco come giocatore, come persona, come mentalità, so come ha preso la decisione sempre difficile, per un giocatore inglese, di lasciare la Premier. Questo mi dice tanto, tanto, perché quando tu lasci la Premier, tu la lasci perché hai ambizione, tu la lasci perché tu vuoi tornare in Nazionale, perché tu vuoi giocare il Mondiale, perché vuoi vincere fuori dall’Inghilterra dove non tanti giocatori inglesi hanno avuto grandissime carriere. Lui viene con questa ambizione, poi aspettiamo di vedere le sue qualità come giocatore, ma con Tammy, con Eldor e con Borja, abbiamo un gruppo di attaccanti che mi lasciano veramente felice. Non abbiamo quell’esperienza dei giocatori di 30-33-35 anni, non abbiamo questa esperienza come tu vedi alla Juve con Cristiano, al Milan con Giroud e Zlatan, o con Muriel, Zapata, con tutti questi giocatori già con grande stabilità ed esperienza. Non abbiamo questo, però, a livello potenziale, con questi ragazzi io non potrei essere più felice.