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Mourinho e Ranieri: le lacrime degli eroi in una notte che ci meritavamo

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I forti piangono, anche se sua immensità Dino Viola una volta ha detto il contrario. Lo fanno poco, e quando magari nemmeno te lo aspetti. Lo fanno sinceramente

Francesco Balzani

Sant’Agostino diceva che le lacrime sono il sangue dell'anima. Ma non si sanguina solo per dolore. A volte la gioia è talmente forte, l’emozione è talmente dirompente che quel sangue messo sul campo per tutta la settimana non fa male. Josè Mourinho, un uomo di 59 anni che ha vinto 25 titoli, allenato campioni, combattuto battaglie sportive epiche, ha pianto di gioia. Non lo ha fatto quando ha alzato le Champions o quando ha vinto l’ennesima Premier. Lo ha fatto a Roma, vicino a una tribuna che lo guardava estasiata. In un 5 maggio che ribalta il concetto Napoleonico di disfatta. In una semifinale di Conference. All’Olimpico, e che Olimpico.   Ricordate quando si parlava di stadio da 40 mila posti perché tanto ormai la gente se la vedeva in tv? Anzi non ricordatelo. Conservate negli occhi quanto visto e sentito ieri.

A Roma così come a Tirana di Olimpico ce ne vorrebbero almeno due. Quello di ieri si è commosso col suo generale, con l’allenatore che più di tutti nella storia romanista dopo Liedholm ha unito una intera tifoseria. Un altro che sta sul podio è Claudio Ranieri. Anche lui si è commosso quando la sua città ieri lo ha applaudito senza retorica. A spellarsi le mani. Alla faccia di chi pensa che il sentimentalismo sia roba da deboli. Come descritto bene in un bel libro di Matteo Nucci gli eroi piangono. Nella vita reale e nell’epica classica. Vedi Achille, Ettore o Ulisse. I forti piangono, anche se sua immensità Dino Viola una volta ha detto il contrario. Lo fanno poco, e quando magari nemmeno te lo aspetti. Lo fanno sinceramente. In tanti piangevano ieri, non solo all’Olimpico. In tante case italiane si piangeva di rabbia. Perché vedere la Roma e Mourinho giocarsi un trofeo fa male a tanti. Ora basta piangere però. C’è una finale, c’è la storia.