Strategia della tensione o reale frattura con addio vicino? La risposta la sanno in pochi, anzi forse la sa solo una persona e in questo momento obiettivamente la bilancia è fortemente sulla seconda opzione. Ma proviamo a vedere più nel profondo. A poche ore dalle due sfide che valgono una stagione Josè Mourinho è riuscito a far parlare tutta Roma (il resto d'Italia è impegnato sul Napoli) di lui e non della situazione difficile che sta vivendo la squadra tra infortuni, rendimenti non all'altezza e una classifica meno felice. Lo sfogo post Monza, infatti, è sembrato troppo palese, troppo esagerato anche per uno come lui. Il pretesto è stato il mondo arbitrale, sullo sfondo la società che non lo aiuta. In mezzo gli infortuni e una rosa troppo corta. Così dal giorno dopo non si è parlato delle condizioni di Spinazzola, dei pochissimi gol dell'attacco o degli errori individuali difensivi. Ma di lui. E' quello sui cui si basa il pensiero dello psicoanalista Wilfred Bion. Un principio di dipendenza-attacco/fuga-“accoppiamento”. In soldoni nella prima fase c’è un leader che fa riconoscere in un gruppo la sua figura come “Salvatore”/trascinatore. Nella seconda fase questo leader concentra l’attenzione del gruppo su un ipotetico nemico. E sempre questo leader porta il gruppo a pensare che possa esserci ancora un altro “Salvatore supremo” che possa aiutare in questa fantomatica lotta e che possa essere l'unico in grado di far vincere il gruppo anche in futuro. E il Salvatore Supremo sarebbe ancora lo Special One.
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Mourinho e la strategia della tensione: sposta l’attenzione e resta leader
Un percorso di comunicazione fine, elaborato ma non lontano dalla realtà e che porta un duplice risultato: i media parlano del futuro di Mourinho e i giocatori sono pronti a dare il fritto per lui. Josè spinge al massimo l'acceleratore su tutti i fronti, anche quelli dei (pochi) media amici. Sa che bisogna arrivare al traguardo, anche con una ruota sola. Lo ha già fatto Mou nei momenti topici della stagione: all'Inter nell'anno del triplete quando si lamentava di una rosa già forte di suo o col famoso gesto delle manette in un anno in cui gli arbitri di certo non avevano penalizzato i nerazzurri. Ma anche al Manchester quando si scagliò sullo staff medico per i troppi infortuni pochi giorni prima della finale di Europa League e al Chelsea quando disse che tutti gli allenatori avversari ce l'avevano coi Blues. In tutti i casi una frecciata alla società non era mancata. E qui ci si gioca tutto. Perchè Mourinho segnali ne ha mandati, ma dall'altra parte non sono arrivate risposte. E questo preoccupa e fa anche pensare sulle reali ambizioni dei Friedkin. Al momento però rimettete dentro i fazzoletti, perché l'addio che sembra ora certo domani potrebbe diventare incerto. Poi ovviamente c'è il mercato. Se davvero il Real o il Psg dovessero bussare allora tutto potrebbe cambiare, al momento chi non cambia è Mourinho. Per fortuna.
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