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Montini: “Devo tanto alla Roma, è stata un’esperienza che mi ha formato”

L'ex attaccante giallorosso (e del Benevento): "Alberto De Rossi e Bruno Conti sono stati importanti. I sanniti? Si capiva che sarebbero arrivati in Serie A"

Redazione

Mattia Montini, calciatore della Roma Primavera fino al 2011 e successivamente del Benevento (dal 2011 al 2012 e per un breve periodo nell'estate del 2013), in occasione della sfida di domani sera tra le sue due ex squadre, ha rilasciato un'intervista al sito del club capitolino. Queste le sue dichiarazioni: "Da Trigoria il calcio mi ha portato in altre direzioni. Ora gioco nell'Astra Giurgiu: in Romania sono abbastanza famoso, mi conoscono e mi riconoscono. Ne sono contento".

Dopo quella finale Primavera magica di dieci anni fa, si spalancarono le porte del calcio professionistico. E andò al Benevento.

Fu una scelta semplice, anche se all’inizio non ero convinto perché avrei preferito un club di Serie B a uno di C. Nonostante quella finale e quello scudetto appena vinto, non arrivarono grandi offerte al mio agente. Difficile capire il perché, ma questo era. La proposta più convincente era proprio quella del Benevento. Mi volevano davvero, venne il direttore sportivo a parlarmi per convincermi. C’erano tanti soldi sul piatto e il progetto era ambizioso. Non esitai più di tanto, inoltre stavo ultimando gli studi per prendere il diploma di maturità e scegliere Benevento mi aiutò anche in quel senso.

Non si sente spesso dai suoi colleghi una frase del genere, di scegliere una squadra anche per completare un percorso di studi.

All’epoca frequentavo una scuola privata collegata alla Roma, un liceo scientifico. In questo istituto insegnava il professor Trancanelli. Successivamente alla maturità, feci i primi esami in scienze motorie. Tuttavia, dopo i primi infortuni avuti in carriera, ho un po’ mollato. Dico la verità, se il calcio mi desse un po’ meno responsabilità e più tempo, è una cosa che mi piacerebbe ancora fare.

Ha citato gli infortuni, forse il freno maggiore nel suo percorso da calciatore.

Non sono stato molto fortunato in questo. A iniziare da Benevento, dove arrivai con tante aspettative, ma poi mi ruppi il ginocchio e per diversi mesi restai a guardare.

Che società era dieci anni fa quella campana?

Un club molto ambizioso già ai tempi. Si capiva che prima o poi sarebbe arrivato a giocare in Serie A. Per un motivo preciso, soprattutto.

Quale?

Per 5-6 anni, nonostante alcuni obiettivi stagionali venivano meno, il presidente ha sempre mantenuto i costi competitivi, continuando a pagare stipendi alti ai suoi giocatori per la categoria. Una strategia che alla fine ha pagato.

La Roma cosa ha rappresentato, invece?

Devo tanto alla Roma e alle persone che ho conosciuto. Alberto De Rossi, Bruno Conti, tutti quelli che lavorano a Trigoria. Essendo stato tanti anni nel convitto, ho mantenuto buoni rapporti nel tempo. È un’esperienza che mi ha formato. Andai via in un momento particolare per la società, all’epoca ci fu il cambio di proprietà dalla famiglia Sensi agli americani.

Dei compagni di squadra con cui condivise l’impresa tricolore chi sente ancora?

Nel calcio è difficile mantenere contatti con tutti quelli con cui giochi. Però qualche rapporto ce l’ho ancora. Tipo con Federico Viviani. Ci vogliamo bene, anche lui è cresciuto nel convitto della Roma con me. Abbiamo condiviso l’adolescenza, non ci sentiamo spesso, ma quando capita è sempre un piacere. Nel corso del tempo è capitato di rincontrarci anche in alcuni centri di fisioterapia in Italia. Pure lui con gli infortuni non ha avuto un bel rapporto. Qui in Romania, inoltre, sento spesso Mirko Pigliacelli, lui gioca qui nel Craiova. Un altro amico è Filippo Scardina, anche lui ha lavorato tanto per imporsi in certe categorie.

In un’intervista rilasciata ad asroma.com, proprio Scardina raccontò quanto sia complicato per un giovane di 20 anni imporsi in Serie C. Secondo lui, in determinati campionati gli allenatori puntano più sui mestieranti rispetto agli emergenti.

Filippo ha detto una cosa vera. La Serie C è un vortice, se non sfondi rischia di risucchiarti. E posso portare a supporto del discorso anche la mia esperienza a Benevento. Mi ritrovai a giocare il posto con attaccanti di 31-32 anni, che nella categoria avevano segnato tanto. Feci fatica. Sono dell’idea che un giovane, soprattutto all’inizio della carriera, debba scegliere più il progetto che i soldi.

Le dispiace non aver mai debuttato in Serie A?

Noi ragazzi italiani cresciamo con il sogno di giocare nel massimo campionato. E il percorso intrapreso stava dando credito a questo mio sogno. Da bambino ottenevo risultati facilmente, ho sempre fatto tanti gol, in qualsiasi categoria. Poi entrano in gioco tanti fattori che determinano la carriera di un calciatore. Quando ho visto che questo sogno si stava facendo improbabile, ho iniziato a soffrire un pochino troppo. È come se vivi sempre di rimpianti. Come mi sono tolto di dosso questo peso, è andata decisamente meglio. E l’esperienza all’estero mi ha aiutato. Comunque, sto giocando nella Serie A della Romania. Rimpianti non ne ho, ora. Forse a 23-24 anni ne avevo.

Come è arrivato a giocare in Romania?

Venivo dal fallimento del Bari, da svincolato. Nonostante avessi ancora un contratto di 3 anni a buone cifre per la categoria, mi ritrovai con richieste non consone per le mie aspettative e ambizioni. I campionati partirono in ritardo, ci furono i ripescaggi. Si è presentata questa opportunità di andare all’estero, alla Dinamo Bucarest. Non avendo vincoli particolari a livello familiare, con la mia compagna che mi segue sempre, non ho indugiato. Sono arrivato 5 giorni in prova, ma dopo due giorni mi hanno chiamato per firmare.

La situazione Covid da quelle parti?

Qui c’è un enorme senso civico dei cittadini. L’organizzazione è stata preventiva sfruttando anche l’esperienza dell’Italia colpita per prima dal virus. Dunque, il numero dei contagi è stato limitato. Poi, le misure sono simili a quelle italiane. Coprifuoco alle 11, distanziamenti, mascherina obbligatoria ovunque.

Nel calcio?

Il sistema calcio si è fermato il 10 marzo 2020. I campionati sono iniziati di nuovo a luglio, come in Italia. Conclusa la stagione scorsa, si è ripartiti subito con quella successiva perché la Romania è tra i paesi che ospiterà gli Europei. Ogni 14 giorni facciamo il tampone. Per le trasferte ci muoviamo poco in aereo, ma più in pullman.

La sua esperienza?

Io ho avuto il Covid nella stagione scorsa, alla Dinamo Bucarest. Una positività in un membro dello staff ha finito col contagiare quasi tutti, anche me. Siamo arrivati a 26 casi nel gruppo squadra. Quest’anno all’Astra stessa cosa. Da 7-8 ragazzi positivi, siamo arrivati a 20-22.

È stato male per il virus?

Ho avuto dei sintomi. La febbre per un paio di giorni fino a 39. Poi avvertivo dolore alla schiena, alle spalle. Passata la febbre, ho perso i sapori e gli odori per una decina di giorni. E quella è stata la cosa più fastidiosa. Tutto è alle spalle, in ogni caso. Adesso sono concentrato sul campo, voglio fare sempre meglio. E segnare i gol. Questo è il mio lavoro.