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Monchi: “Guai a dar per morto l’Atletico. Di Francesco perfetto per la Roma”

Parla il ds spagnolo: "Crediamo molto in Schick, il marchio del club mi ha aiutato a convincerlo. Primi nel girone di Champions con merito. Italia? Cronaca di una morte annunciata"

Redazione

Alla vigilia della sfida di Champions League contro l'Atletico Madrid, il ds della Roma Monchi ha rilasciato una lunga intervista sulle pagine del quotidiano spagnolo AS. Ecco le sue dichiarazioni:

Ha detto che quando ha iniziato come direttore sportivo a Siviglia non c’erano delle basi per il suo lavoro. A Roma li ha trovati…

Sì, certo (ride, ndr). È stato un vantaggio per il mio nuovo inizio, entrare in un club dove c’era già un lavoro ben realizzato. Ha reso questo passo più facile per una nuova tappa della mia vita.

Com’è stato l’impatto con Roma?

Positivo personalmente e professionalmente. Ho ancora bisogno di qualcosa, ovviamente: non ho tutta la mia famiglia qui, mi mancano i miei amici… Ma l’adattamento è stato semplice, grazie anche all’aiuto del club.

Il Siviglia è sempre stato il suo club. È diverso lavorare per una squadra con la quale non ha mai avuto una relazione così stretta?

Dipende dalla propria professionalità. Ho provato, fin dall’inizio, a fare di questo club una parte di me, partendo da zero. Ho fatto un “corso accelerato di romanismo”…

Ha avuto molte offerte. Perché ha scelto la Roma?

Una volta presa la decisione più difficile, cioè lasciare Siviglia, sapevo che volevo essere me stesso, ovunque fossi andato. Ho intuito che qui avrei potuto farlo e, fortunatamente, ora lo sono.

Si è trovato nel bel mezzo del caso Totti-Spalletti. Pensa che abbia fatto male alla squadra?

Se Roma vuole crescere, deve guardare avanti, mai indietro. Ho avuto la fortuna di conoscere Spalletti, un grande allenatore, la fortuna di vedere giocare Totti, di vivere il suo addio, e ho l’immensa fortuna, ora, di lavorare con lui quotidianamente. Questo è ciò che mi rimane.

Totti ha dato la sensazione di voler continuare a giocare…

Questo è sicuro, anche io volevo continuare a giocare. Il pianto di Buffon o De Rossi con l’Italia è per lo stesso motivo… È difficile, quando uno ha fatto la stessa cosa per tutta la sua vita, rendersi conto stia per arrivare un cambiamento.

Francesco ha confessato di essere stato convinto a diventare dirigente grazie a un “magnifico discorso” con lei…

Per Francesco, l’unica cosa che gli dissi fu che doveva fare un passo diverso da quello che aveva fatto fino a quel momento, e poi che avevo bisogno di lui al mio fianco. E non solo perché era Totti: lo considero una persona capace di aiutare me e, soprattutto, il club. Penso che gli sia piaciuta la mia franchezza.

Come immagina Totti nei prossimi 10 anni?

Prima godiamoci quello che ci sta dando ora, che è molto. Quindi, per me, Totti deve continuare ad essere Totti, questo è quello che conta di più.

Salah, Ruediger, Paredes… Anche qui ha dovuto iniziare il suo mercato con delle cessioni importanti.

Vendere calciatori è uguale ovunque si vada. Non bisogna aver paura, tutti i club lo fanno. La chiave è accettarlo e l’ho fatto con la normalità di sempre.

Qual è stata l’operazione più complicata del suo primo mercato giallorosso?

Ovviamente quella di Mahrez, che ci interessava. È stata molto difficile, ma non siamo riusciti a concluderla. L’ingaggio di Schick è stato difficile per la concorrenza che avevamo: Juve, Inter, Napoli, club di tutta Europa. Il marchio Roma mi ha aiutato a convincere il giocatore ceco a venire qui.

Se tutte le condizioni saranno soddisfatte, Schick costerà 40 milioni. L’acquisto più costoso della storia di Roma. A Siviglia la sua spesa massima era stata di 15 milioni.

Il mio compito è sempre quello di scegliere, avendo gli argomenti migliori per farlo bene. Patrik ha avuto un costo significativo, ma lo è anche il suo margine di rendimento sportivo. Abbiamo molta fiducia in lui.

Di Francesco sembra un’altra grande scelta.

Una volta che ho parlato con lui ho avuto subito molto chiaro che fosse perfetto. Raccoglie tutte le condizioni che apprezzo in un allenatore: il legame con il club e la comunicazione con i giocatori, per esempio.

Che obiettivo ha la sua Roma a lungo termine?

Lo riassumerò “filosoficamente”: l’obiettivo fondamentale è conquistare ciò che i romanisti sognano ogni giorno possa realizzarsi.

Quest’anno la Roma può sognare lo scudetto?

Iniziamo con uno svantaggio rispetto a progetti più consolidati come quelli della Juve e del Napoli, ma siamo anche convinti che con il lavoro possiamo ridurre la distanza.

Cosa ne pensa di questa serie A?

L’equilibrio è la nota predominante. È un bene per il campionato, lo spettacolo e per i tifosi che si ritrovano cinque squadre, Napoli, Inter, Juve, Roma e Lazio, con una piccolissima differenza di punti.

Nella Lazio sta giocando bene Immobile, che ha deluso a Siviglia.

Non tutti i giocatori hanno successo in tutte le squadre. A Dortmund non ha avuto fortuna, a Siviglia non ha trovato la necessaria fiducia. Qui ha trovato il palcoscenico in cui è in grado di realizzarsi.

È più difficile segnare in Serie A?

Non credo. Il calcio si è globalizzato. Il catenaccio italiano è più un mito che realtà, basta vedere come giocano le squadre del campionato e come vincono fuori i loro allenatori.

Quale dei suoi avversari l’ha colpita di più?

A priori la favorita deve essere la Juve, poi dobbiamo rispettare il Napoli e l’Inter.

C’è altro che l’ha sorpresa del calcio italiano?

Tante cose. La professionalità, ad esempio, o la capacità di lavoro degli allenatori. Le prime sei squadre della classifica hanno tecnici italiani, questo è un segnale. Anche il buon livello degli arbitri. Ho scoperto un calcio molto più positivo di quello che si dice fuori.

Cosa pensa dell’arrivo della Var?

Penso che sia un’ottima idea. Tra le diverse possibilità che c’erano, credo che fosse la scelta più giusta per rispettare l’integrità dello spettacolo.

In Italia si parla di ridurre il campionato a da 20 a 18 squadre.

Sono più favorevole a livellare gli ingressi economici in modo tale che le 20 squadre abbiano un potenziale più vicino. In Spagna è stato fatto e aiutato le squadre più piccole.

Ha vissuto il disastro della Nazionale italiana.

Ho sofferto in prima persona, ormai mi considero uno del calcio italiano. È una cattiva notizia, ma dovrebbe servire a fare una riflessione profonda. Citando Márquez, questa è stata la cronaca di una morte annunciata, visto cosa è successo nei Mondiali del 2010 e del 2014.

Questa cosa può portare problemi ai club italiani?

L’immagine del calcio italiano è stata toccata, ma c’è sempre una differenza tra il calcio dei club e quello delle squadre nazionali.

Come si può spiegare questo fallimento?

Nella fase a gironi c’era un avversario complicato come la Spagna, poi nei play-off molti fattori hanno condizionato le gare, la chiave è stata prima partita. Lì l’Italia non è riuscita a dimostrare il suo potenziale.

In cosa deve cambiare il calcio italiano?

Una volta si tocca il fondo, devi scoperchiare il vaso per vedere cosa si fa e cosa si può migliorare, per poi agire di conseguenza. Ci sarà gente competente in grado di farlo.

Fino ad ora, nelle coppe europee la sua Roma è stata la miglior squadra italiana. Si aspettava di arrivare a Madrid ad un passo dalla qualificazione?

No, però dobbiamo ancora lavorare. Faremmo male a pensare che siamo già qualificati. Certo, quando vedi che nel girone hai Chelsea e Atletico, è difficile immaginare di essere in testa dopo quattro giornate, però se siamo in vetta è perché lo abbiamo meritato.

Arriverà a Madrid dopo la sua prima vittoria in un derby.

Una felicità incredibile, qui il derby è molto importante, c’è una grande rivalità. Vedere gioire il pubblico è stata una gran cosa, un’iniezione di fiducia in vista dei prossimi impegni.

Cosa ne pensa del momento dell'Atletico Madrid?

Chi dà per morta la squadra del Cholo Simeone, non conosce né lui né l'Atletico. Ha sofferto un calo, però sono convinto che rinasceranno. A questo livello le esigenze sono grandi, il margine di errore è piccolo e qualsiasi momento di dubbio sembra più grande di quello che realmente è.

L’Atletico può vantarsi del nuovo stadio, che è anche un progetto della sua Roma.

È fondamentale per la crescita del club. Al giorno d’oggi avere uno stadio di proprietà, più vicino al pubblico, ti dà punti. Mi auguro e spero che non sia molto lontano per noi.

Quale giocatore toglierebbe ai colchoneros?

Ho detto diverse volte Saul, però potrei dire anche Koke, Filipe Luis… Ne hanno molti. Quello che hanno raggiunto è frutto di un modello eccezionale.

Vede punti in comune tra il momento di Torres e le ultime stagioni di Totti?

Non lo so, non mi sbilancio a fare paragoni. Fernando ha significato molto per l’Atletico, gli auguro un finale di carriera e un futuro migliori possibile, come li ha avuti qui Francesco.

Come vede la Liga?

Sembrava che il Barcellona, con il caso Neymar, avrebbe potuto perdere qualità, ma alla fine è stato tutto il contrario. Il Valencia, fortunatamente per il mio caro amico Marcelino, è la sorpresa del campionato, il suo ritorno tra le grandi è il più significativo. Il Siviglia, che è sempre la mia squadra, è in lotta e mi fa piacere.

Ha visto il derby di Madrid?

Ho potuto vedere gli highlights, il risultato non mi sorprende molto, è tipico di un derby. Quest’anno le due squadre procedono di pari passo sia in classifica che nel gioco.

Si aspettava questa crisi del Real Madrid?

Credo sia un calo fisiologico. Sono sicuro che a fine stagione lotterà per grandi traguardi.

Come le è parso il mercato del suo Siviglia?

Oddio, già ne ho abbastanza di quello qui… (ride, ndR). Non entro nel merito né credo che sarebbe giusto farlo. L’unica cosa che mi auguro, da sevillista, è che vada tutto bene. Oggi sono un tifoso in più, non vado al campo ma vedo le partite e leggo le notizie con la mentalità di un tifoso.

Pensa di tornare un giorno?

Non so ancora parlare italiano, come faccio a pensare a questo (ride, ndR). Al momento sono concentrato al 100% in un progetto su cui ho puntato molto. Mi dedico anima e corpo alla Roma.