(di Alessio Nardo) Inutile girarci intorno. E' dura, fa male, ? insopportabile. Viviamo ore d'inferno, vivremo giorni e settimane che mai avremmo voluto vivere. L'ultimo schiaffo ha il suono devastante di un sogno che finisce. Perch? pensate, in questa stagione di miseria e povert?, un intero popolo era ancora disposto a crederci. Ad aggrapparsi ad una speranza, ad un auspicio, ad una sola stramaledetta partita. La finale a casa nostra, contro la Lazio, in una cornice degna di Wembley e della Champions. Roba forte, da romanisti veri, sognatori ad occhi aperti. Con il nostro cuore grande, eravamo disposti a perdonare, a dimenticare tutto. Gli errori e gli scempi, le papere e gli scazzi, le sconfitte e le delusioni. Ci sarebbe bastato un colpo di coda, un guizzo, una gioia. Niente. La ritrovata armonia della platea giallorossa si ? definitivamente sciolta di fronte all'ennesima pagina infernale e disgraziata di un biennio riassumibile in un solo termine: fallimento.
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L’ultima perla della Roma del nulla
(di Alessio Nardo) Inutile girarci intorno. E’ dura, fa male, ? insopportabile. Viviamo ore d’inferno, vivremo giorni e settimane che mai avremmo voluto vivere.
Non ci siamo stupiti di quanto visto nei novanta minuti. In fondo, sapevamo gi? tutto. Bastava conoscerli, i nostri polli. Nei loro mille difetti e negli impercettibili pregi. Conoscevamo Lobont, Balzaretti, Bradley, il De Rossi di oggi, il Totti di tanti derby. Ed eravamo consapevoli che i vari Marquinhos, Lamela e Destro (per et?, inesperienza e non solo), non avrebbero potuto fare la differenza davanti a gente pi? scaltra, pi? esperta, probabilmente pi? forte. La storia del derby era scritta negli ultimi quattro disputati: tre vinti dalla Lazio ed uno pareggiato per un goffo errore di mira di Hernanes. Il resto, il divario di valori calcistici (quindi non solo tecnici, ma anche fisici, agonistici e temperamentali) era chiaro, sin dalla vigilia. Il crollo laziale in campionato, con conseguente settimo posto, aveva illuso qualcuno. Grosso errore. Tutto ? andato come previsto. Nel momento decisivo, il carattere ha fatto la differenza. La voglia e l'ardore hanno spaccato in due la partita, Lulic ha colpito e la Lazio ha maramaldeggiato sui limiti atavici dei rivali.
Il finale? Un grottesco show, degno di un horror-comico. La Roma del nulla che alza palloni a caso, puntualmente respinti dai difensori laziali, ben pi? tosti e coriacei degli evanescenti fantasmi giallorossi. E poi, le reazioni a fine partita. Le lacrime di chi in campo passeggia e arranca, gli sfoghi rabbiosi di chi in quindici minuti non sfiora un pallone, le solite parole insignificanti di tecnico e dirigenti, che con impeccabile eleganza sottolineano il massimo impegno dei ragazzi. E intanto sfumano vittoria, trofeo, Europa e Supercoppa. Con un allenatore ed una campagna acquisti da inventare. Siamo a pezzi, siamo a terra. E ci fa pi? male l'inconsistenza assoluta della Roma del "dopo", pi? che i blandi festeggiamenti della Lazio (per quella che resta, ricordiamolo, solo la sesta Coppa Italia di una modesta storia pluricentenaria). Ai tifosi, agli innamorati della Roma, basterebbe poco per ripartire. Tredici anni fa, dopo lo scudetto laziale, Franco Sensi prese Batistuta e riaccese la passione. Servirebbe una mossa del genere. Un cenno di vita, un segnale d'amore. Ma da parte di chi?
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