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Lucci: “Taddei è un guerriero educato. Un esempio per questo mondo subdolo”

(di M.Conterio – TMW Magazine.com) Alessandro Lucci chiude gli occhi e vede Hollywood.

Redazione

(di M.Conterio – TMW Magazine.com) Alessandro Lucci chiude gli occhi e vede Hollywood.

Lui, che coi divi del cinema ha lavorato per lunghi anni, lui che ora è tra gli agenti Fifa più in vista a livello internazionale e che adesso offre la sua consulenza a grandi calciatori e grandi club.

“C’è un film che mi ha ispirato -dice, sorridendo-. E’ Jerry Maguire, con Tom Cruise. Lui, agente di giocatori di football, che basa tutto sul rapporto umano e non li tratta come carne da macello. Gliene resta solo uno, considerato da tutti mediocre: ma Maguire lo motiva, lo segue, lo coccola, usa con lui bastone e carota. Ed alla fine del film... Devo raccontarlo?”.

L’antefatto è esemplificativo ed il finale chiaro. Però, nel suo splendido ufficio di Roma, zona Fleming, Lucci ribadisce spesso alcune parole chiave: “trasparenza, correttezza, lealtà”.

Facciamo un salto indietro nel tempo: chi era Alessandro Lucci prima di tuffarsi nel mondo del pallone? “Nasco a Roma, vicino San Pietro, poi trapiantato in zona Fleming. Vengo dalla moda, mio zio era socio di alcune boutique di un vero genio della moda come Gianni Versace. Era una vetrina sul mondo, lavoravo in Via Borgognona e quella era la moda ‘talentuosa’. Ho conosciuto e vestito tanti divi dello spettacolo, da Madonna a Elton John, passando per Mike Tyson fino a Diego Armando Maradona”.

Non doveva esser semplice accontentarli e gestirli, immaginiamo. “Pensi che, per Maradona, con il negozio chiuso alle 21, c’erano oltre tremila persone fuori ad aspettarlo. Con lui ho stretto un buon rapporto, sono anche andato a trovarlo a Siviglia ed in Argentina”.

Curiosità: lei curava il look dei personaggi famosi. Il cliente più ‘particolare’? “Mi è capitato di andare più volte in Francia, dal figlio del Re degli Emirati. Trasportavamo, praticamente, l’intera boutique a Parigi, eravamo realmente alla corte del sultano. E’ stata un’esperienza lunga più di quindici anni, quella nella moda, che mi ha permesso di viaggiare tanto, di mettermi a confronto con tante culture diverse e di imparare correntemente quattro lingue”.

Poi il calcio, che però l’ha accompagnata sin dai primi anni. “Mio padre era calciatore, uno alla Mazzola. Stava per passare alla Lazio, negli anni ‘50, ma c’era una squadra legata all’Enel che gli fece una proposta. All’epoca, è chiaro, si pensava anche al dopo carriera ed optò per la seconda e finì anche per diventare dirigente dell’azienda”.

Quando ha deciso di dare una svolta decisa alla sua carriera? “Un po’ per caso, come nascono le cose belle della vita. Alen Boksic mi consigliò di intraprendere questa carriera. Volevo avvicinarmi a questo mondo e mi disse che, a suo avviso, potevo farlo, avevo le qualità giuste. All’epoca c’era lo zoccolo duro degli agenti, anche se mediaticamente la categoria non era esplosa; nel backstage, però, ricordo ancora l’importanza delle figure dei vari Tinti, Branchini e D’Onofrio, per dirne alcuni. E proprio il grande rapporto umano di quest’ultimo con Boksic mi convinse a seguire la mia strada”.

Una strada che ha avuto una fermata molto importante: Serginho. “Per due anni ho girato l’Italia ed il Mondo, avevo giovani di prospettiva. Ma il mio obiettivo è sempre stato uno soltanto: pochi ma buoni, qualità anziché quantità. Serginho lo conobbi attraverso Cafu e, intorno al 1999, seppi della possibilità di un suo passaggio al Middlesbrough. Era già al Milan, con Zaccheroni stava giocando poco e lo contattai. L’operazione non si fece ma dopo poco tempo suonò il telefono e mi disse che avrebbe voluto me come suo rappresentante”.

Poi Cesare Maldini.“Esatto. Zaccheroni fu mandato via e Maldini aveva due figli: Paolo ed uno adottivo -sorride-, Serginho. Gli disse di giocare più libero e per cinque partite fu il migliore in campo, ricevendo il riconoscimento di Tele+. A fine stagione mi trovai davanti a Galliani per il rinnovo del ragazzo. Per questo sarò sempre grato a Serginho, al quale è dedicato il logo della W.S.A. Ed al Milan. Ero nessuno ma mi hanno trattato con grandissimo rispetto, da società unica. Negli anni ho avuto la fortuna di trattare coi club più prestigiosi, ma i rossoneri hanno un fascino unico”.

Gattuso ci ha detto: ‘Serginho ha fatto un quarto di quello che avrebbe potuto fare in carriera’. “Vero, ma ha fatto anche grandissime cose. In finale Champions avevo lui e Roque Junior, in quella vinta contro la Juventus. E’ per me un fratello, sua moglie è la migliore amica di mia moglie; ha rappresentato la grande occasione della mia vita, professionalmente parlando”.

Lei ha un forte legame con i giocatori brasiliani. “Sono sempre andato spesso per lavoro in Brasile, per conoscere e vedere dal vivo i talenti. Devi sapere chi hai di fronte, perché quando poi hai davanti una società devi sapere che il giocatore è un professionista e non solo un talento. Là ho visto, e vedo ancora, gare incredibili anche in Serie C. A livello di talento puro, prenderesti tutti, ma poi per essere un campione servono anche altre virtù”.

Non solo Brasile, però, anche Uruguay. “Ho da poco stretto un accordo con la Gbc, con l’ideatore Pablo Boselli e con Tito Sierra. Vogliono investire nel calcio, sulle qualità umane ed hanno la mia stessa filosofia. E poi l’Uruguay, una nazione con tre milioni e mezzo di abitanti, è un fenomeno da studiare anche adesso”.

Spazio alle curiosità: qual’è stata la trattativa più semplice condotta nella sua carriera? “Lucio all’Inter dal Bayern Monaco. Lì tutti i tasselli erano al loro posto, è stata una situazione incredibile. I nerazzurri volevano un difensore centrale, Mourinho chiedeva Carvalho ma non era facile. Al Bayern arrivò Van Gaal che disse di non contare più su Lucio. Mi chiamò il suo agente per una consulenza ed entrai in contatto con l’Inter. Fu una mia idea, in soli tre giorni si definì tutto”.

La più laboriosa? “Vucinic alla Roma. Il Lecce voleva monetizzare, l’Udinese era pronta al colpo ed i giallorossi avevano poca liquidità. Mirko però sognava la capitale, fu una trattativa estenuante di oltre due mesi. Riuscimmo a chiudere in prestito oneroso con riscatto per la metà nel primo anno e la seconda nell’anno successivo. Alla fine, furono tutti contenti, perché Vucinic è un giocatore unico, capace di cambiare le partite da solo”.

Con la sua W.S.A. offre consulenza a molti calciatori per la gestione delle dinamiche professionali. “Tra questi ne cito uno, Rodrigo Taddei. L’ho conosciuto a Siena, quando perse tragicamente il fratello. E’ una delle persone più belle che abbia incontrato nella mia vita, lo dico col cuore. Riuscì professionalmente a riprendersi, stava per andare alla Roma ma l’allora presidente De Luca disse di no. Intraprendemmo per la prima volta nel calcio una causa per mobbing poi rientrata, poi riuscì ad approdare in giallorosso che preferì anche ad Inter e Juventus”.

Il suo giocatore modello. “Un guerriero educato. Rodrigo è una persona splendida, il profilo ideale del ragazzo al quale offro la consulenza. Noi vogliamo essere un punto di riferimento, perché è un mondo subdolo, dove è facile perdersi per le grandi pressioni quotidiane e vogliamo mettere a disposizione tutto il nostro know how per supportarli. E per sopportarli, anche, perché giustamente dobbiamo essere anche duri quando serve”.

Ci diceva del rapporto umano: alcuni dei suoi ragazzi le hanno addirittura dedicato dei gol. “Bertolacci l’ha fatto addirittura alla prima in A contro la Juve e Mirko per la prima doppietta. Rafael, ex del Messina, disse addirittura ‘Jerry, questo è per te’, davanti alla telecamera, proprio rifacendosi al film di Tom Cruise”.

Oggi orbitano nella W.S.A. circa 40 calciatori: chi le sarebbe piaciuto avere? “Zè Roberto. Un giocatore del quale ero innamorato, stratosferico. Stavo per portarlo alla Roma, poi la moglie fece dietrofront a trattativa conclusa. Adesso, invece, stimo molto Alvaro Gonzalez: con Reja è sempre titolare fisso, ma non trova nei media lo spazio che meriterebbe”. Calcisticamente, invece, chi è che non ha fatto la carriera che sperava? “Davor Vugrinec. Un giocatore incredibile, ma poi ha staccato la spina delle motivazioni e si è perso. Fu lui, però, a consigliarmi Vucinic. Mi chiamò, quando era a Lecce, e mi disse: ‘Alessandro, nel settore giovanile ci sono due ragazzi. Uno è un fuoriclasse, l’altro è forte. Erano Vucinic e Bojinov”. Staccato dal calcio, chiuso il cellulare, chi è invece Alessandro Lucci? “Spegnere il cellulare è impossibile: pensi che durante i periodi di mercato devo ricaricare la batteria tre volte al giorno! In ogni caso... Una persona semplice”.

Ci racconta la sua famiglia? “Mia moglie, Yaima, essendo cubana, è una persona positiva e solare. Per me è un punto di riferimento, è una persona che stimo, è preziosa per tante cose. La definirei determinante. Poi abbiamo due figli, due gioielli: Carolina, la nostra principessa che ha otto anni, e Leonardo, il nostro dandy, che ne ha due”.

Hobby particolari? “Mi piace il jazz, mi rilassa John Coltraine, ma ascolto di tutto, dipende dallo stato d’animo. Vado da Mina ad X-Factor, per intenderci. Poi cinema, teatro ed arte contemporanea. Ecco: è un mondo affascinante, non lo capisco da neofita ma vorrei scoprire questa meravigliosa arte concettuale”.

Per scoprirla, occorre anche viaggiare. “Mi sposto molto spesso, per lavoro. Diciamo che, idealmente, mi piace Madrid, reputo pazzesca e romantica Parigi ma vivrei a Londra per l’apertura mentale che ha quella città. Ci sono anche andato, per un periodo, a diciotto anni, per imparare l’inglese. E presto ci tornerò, perché nei prossimi mesi inaugureremo una sede anche lì”.

Da Via Borgognona a Londra, passando da Versace, Tyson, Maradona, Boksic, Vugrinec, Vucinic e da tutti gli altri. E allora, boa viagem, Jerry Maguire.