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Lasciate libero De Rossi

(corriere.it-M.Sconcerti) Ci sono cose che ancora oggi fatico molto a capire nel calcio. Una di queste è la morbosità con cui molto spesso si cerca di evitare che un giocatore lasci la nostra squadra, la nostra città.

Redazione

(corriere.it-M.Sconcerti) Ci sono cose che ancora oggi fatico molto a capire nel calcio. Una di queste è la morbosità con cui molto spesso si cerca di evitare che un giocatore lasci la nostra squadra, la nostra città.

Lo si chiama traditore, mercenario, lo si diffida dal tornare nei paraggi.

Il caso del giorno è De Rossi, ma tiene ancora banco Montolivo, in passato c’è stato Ronaldo, e chissà quanti altri sono già in rampa di lancio. Diciamo di amare quel giocatore ma in realtà lo amiamo solo se fa quello che vogliamo noi. Se decide di scegliere da solo, è un traditore. E’ un vecchio modo indiscutibile di vedere il calcio che non tiene più il passo del tempo. Anche il calcio è relativo. Di assoluto semmai c’è la fede nella squadra, quella è l’unica cosa a prescindere. Ma gli uomini sono diversi, è giusto usino la loro diversità e facciano quello che credono, qualunque cosa sia. Anche le religioni sono cambiate nel tempo, il Cristianesimo entrò nel concilio di Nicea (325) con un Dio e ne uscì con la Santissima Trinità. Salvo poi cambiare molte volte opinione sulla natura di Gesù nei successivi sette secoli.

Perchè amare una squadra deve significare fare prigionieri? Questo non è amore, è crudeltà, stupidità. Andarsene non è per forza voltare le spalle, è anche e soprattutto cercare un’occasione professionale, cercare di crescere con esperienze diverse. Fossimo tutti rimasti a casa, che sarebbe stato del mondo?