(di Alessio Nardo) Vincere un derby è sempre la miglior cura. Soprattutto a Roma, dove la stracittadina è vissuta come una finale dei mondiali. Figuriamoci vincerne cinque di fila, racchiusi nell’arco di soli quindici mesi. In casa giallorossa si gode e si festeggia, come se Donetsk, l’esonero di Ranieri, il travagliato cambio societario e quant’altro fossero storie lontane e remote. Non è così, ma per qualche ora è giusto dimenticare e sorridere, anche in virtù di una stagione (fin qui negativa) che può raccontare cose nuove e interessanti. Il quinto sigillo non è arrivato per caso, ma è stato frutto di una gara ben giocata da una Roma finalmente più quadrata e logica. I problemi restano, le controversie permangono. Ma il 4-2-3-1 di spallettiana memoria e montelliana attualità funziona e dà risultati: dieci punti in quattro partite.
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La Roma si gode la manita
(di Alessio Nardo) Vincere un derby è sempre la miglior cura. Soprattutto a Roma, dove la stracittadina è vissuta come una finale dei mondiali.
TROPPI LEZIOSISMI – E’ bene dirlo, il derby è stato vinto dalla Roma anche per gravi demeriti di una Lazio spenta, impaurita, senza nerbo. Già nel primo tempo si era chiaramente compresa la situazione generale: biancocelesti in netta difficoltà, Totti e compagni più spigliati, reattivi e tosti. Come al solito è mancato un pizzico di cinismo sottoporta, sostituito dal mai efficace leziosismo. La Roma ha manovrato e gestito il gioco pur costruendo due sole vere occasioni (la traversa di Pizarro e la clamorosa chance a botta sicura sciupata da Juan), fallendo molte semplici combinazioni in proiezione offensiva. Con il quadrilatero comprendente Ménez e Vucinic esterni e Perrotta alle spalle di Totti si crea di più, ma la concretezza è un’altra cosa. L’ultimo vero gol su azione della Roma in campionato risale all’1-0 di De Rossi a Bologna, poi solo calci piazzati e singole invenzioni. Bisogna lavorare su quell’aspetto, cercando di essere più reattivi e determinati negli ultimi sedici metri. In tal senso, la nota negativa del pomeriggio è stata Jeremy Ménez. Confuso, pasticcione, sbadato e irritante. Montella gli ha concesso una grande possibilità preferendolo a Taddei dal 1?, ma il francesino non ha fornito le attese risposte. E una volta rispedito in panchina, la Roma ha avviato il progetto ‘manita’.
IL DERBY DEL CAPITANO – Nel giorno in cui Burdisso annulla Zarate e Pizarro si conferma un baluardo assoluto del centrocampo, il protagonista principale diviene ovviamente lui, Francesco Totti da Porta Metronia. Aveva saltato gli ultimi tre derby, tutti vinti dai suoi compagni, e non segnava alla Lazio dall’ottobre del 2005. In pratica, per il capitano la sfida agli antichi dirimpettai era diventata un maledizione. Tanto che, neppur con troppa ironia, i tifosi laziali in tempi recenti hanno sempre ammesso di ‘auspicare’ la sua presenza in occasione della stracittadina. E anche nel corso dell’ultima settimana, un coro quasi unanime si è levato dal popolo biancoceleste: “Tra Borriello e Totti, preferiamo affrontare il secondo”. Detto fatto: accontentati. Francesco per settanta minuti è stato in difficoltà, pur impegnandosi e correndo molto. Ha sofferto la marcatura arcigna dei rivali, finendo per litigare e bisticciare come già accaduto in altre occasioni. Il solito Totti nervoso dei derby, fino al ‘magic moment’. Minuto numero settanta, un delizioso calcio di punizione da fuori area, da posizione centrale: Totti ci prova, la palla oltrepassa la barriera e Muslera contribuisce ad accompagnarla in rete. Gioia immensa, incredibile. Poi il finale, trascorso a prender botte e a guadagnar tempo, suscitando l’ira funesta degli inconsolabili avversari. Ciliegina sulla torta, il rigore del 2-0 nei minuti di recupero, con tanto di saporita e meritata corsa sotto la Sud. Un pomeriggio strepitoso, atteso con pazienza da anni. Finalmente Francesco Totti può godersi il ‘suo’ derby.
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