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La Roma rinuncia a Tor di Valle: il problema è che lì volevano fare un quartiere

Da Torino a Bergamo e Frosinone, chi ha costruito solo un nuovo impianto ci è riuscito in tempi brevi. Nella capitale, come a Milano, il progetto prevedeva un enorme business park con al al centro un campo da calcio

Redazione

Un progetto con millemila cubature e al centro, quasi fosse un dettaglio, un campo da calcio. Un’amministrazione ideologicamente contraria alle grandi opere. Una società lontana, più interessata a dare uno stadio alla squadra che alla squadra stessa (che non a caso non ne sarebbe stata nemmeno la diretta proprietaria). Un’area degradata e a rischio ambientale, mal collegata, che col traffico del campionato sarebbe diventata praticamente irraggiungibile. Chi l’avrebbe mai detto che con un progetto così qualche cosa sarebbe andato storto. Dopo 7 anni e quasi un centinaio di milioni di euro spesi per nulla, la Roma ha ufficialmente rinunciato al famoso stadio a Tor di Valle. Finisce così quella che è stata una vera e propria farsa, di cui tutti nella Capitale conoscevano l’esito. Adesso da ogni parte si leva il solito peana per cui in Italia non si riesce a fare nulla e il nostro calcio è condannato ad avere impianti vecchi e fatiscenti. In parte è certamente vero, perché la farraginosità della burocrazia nostrana è innegabile. Ma il problema vero di Tor di Valle, scrive Lorenzo Vendemiale su "il Fatto Quotidiano", non è stato che in Italia non si possono fare stadi nuovi, ma che più che uno stadio volevano fare un quartiere intero. In una zona che non lo prevedeva e che non sarebbe stata nemmeno attrezzata a farlo.

E' facile rendersi conto che Tor di Valle era semplicemente un progetto sbagliato, nato male e proseguito peggio. Non era solo di uno stadio che si parlava, ma di un enorme business park: all’inizio c’erano persino tre grattacieli firmati dall’archistar Libeskind, poi sforbiciati dalla sindaca Raggi. Tor di Valle era diventato uno strano ibrido, grande opera ma non più così grande, che non avrebbe migliorato la città, al massimo l’avrebbe incasinata. Ed è soprattutto per questo che è fallito.

Pallone e istituzioni tornano alla carica per una nuova normativa, più permissiva. Potrà essere semplificata ancora, ma la legge sugli stadi è stata già recentemente ritoccata due volte. E funziona. La Juventus ci ha messo solo tre anni a farsi il suo impianto. Lo stadio se l’è costruito il Frosinone, lo sta rifacendo l’Atalanta. A Terni, il presidente Bandecchi ha appena presentato un progetto ambizioso e conta di inaugurarlo nel 2024. A Roma invece non volevano fare solo uno stadio: infatti hanno avuto problemi. A Milano lo stesso. Come sarebbero andate le cose se la Roma avesse voluto costruire solo uno stadio, con i giusti e ovvi ritorni economici, ma senza scivolare verso la speculazione edilizia? È questa la vera domanda che resta della vicenda, che dovrebbero porsi anche i Friedkin. La nuova proprietà ha abbandonato Tor di Valle ma non l’idea di costruire un nuovo stadio della Roma: dalle prime indiscrezioni, si parla di un progetto più piccolo, circoscritto all’impianto e poco altro, in un’area già pronta e collegata, nel perimetro del piano regolatore esistente. Se davvero sarà così, magari persino la Roma riuscirà ad avere il suo stadio.