Si sono arresi di nuovo, al passato e a un futuro che non sono riusciti a disegnare. O meglio, che ancora non sono riusciti a decifrare almeno dal punto di vista tecnico. Ricordate la prima Roma americana, in giacca e cravatta e con lo slang che strizzava l’occhio a social e parole “easy”? Quella che voleva uscire dalle trattorie romane, dai bar sguaiati, da una Roma troppo “casareccia”? Tutti che credevano: “Ao questi ce fanno usci dal raccordo, è ora de crescè”. Come quando ti invitano a una festa d’alta aristocrazia, tu che magari sei nato in borgata e ti senti pure un po’ in imbarazzo a sentire certi discorsi. Via sciarpe della nonna o magliette della salute, mettiamoci pashmine e giacche colorate. Tentativo apprezzabile, ma la tradizione è importante. Ci hanno provato importando la moda catalana e un calcio lontano anni luce dal nostro. Via il troppo romanista Montella è arrivato Luis Enrique col suo iPad, col mental coach e con una schiera di personaggi che nemmeno sapeva quanto distava l’Olgiata da Trigoria. Progetto fallito, in poche settimane. Ci si è rifugiati così in quella Roma casareccia, ma non troppo. E’ stato preso Zeman, il secondo allenatore dell’era Sensi. L’emozione popolare ha vinto, ma a Trigoria già all’arrivo del boemo c’è chi storceva la bocca. Troppa schiettezza tutta insieme fa male, e in fondo il suo calcio non sembrava più così innovativo. Un capro espiatorio perfetto su cui scaricare nuove colpe e progetti falliti. Per sostituirlo altro ritorno alla Roma dei Sensi, con quell’Andreazzoli che lavorava con Spalletti e che è entrato da perdente nella storia romanista. Copione simile con Rudi Garcia, pure lui passato dal dover essere “il nostro Ferguson” al principale colpevole. Da fenomeno a fesso, una parabola nota a Roma. Che riguarda tutti, nessuno escluso. Ringraziamenti di rito e avanti il prossimo, anzi avanti il passato prossimo. Perché Baldini (ah pure lui era nella Roma dei Sensi), Baldissoni e Sabatini hanno rispolverato un altro cimelio della vecchia Roma all’amatriciana. Arriva Luciano Spalletti, il tecnico che dopo Capello ha vinto di più sotto la gestione di Franco e Rosella. Il trauma con Totti, altra radice romana da estirpare senza un perché, ha distrutto il pelato di Certaldo. E così l’ex mito è stato subissato di fischi e insulti, e ovviamente ha fatto le valigie. Altro giro, altra corsa. Arriva Eusebio Di Francesco che per la Roma di Sensi diede un polmone e che rappresenta uno dei discepoli preferiti da Zeman. Per evitare di fare la fine di Zdenek l’ex Turbo giallorosso si è mostrato fin troppo aziendalista. E ha pagato il conto, come tutti. Crocifisso, sfiduciato, esonerato. Ringraziamenti, e tanti saluti. “Idee?”, si saranno chiesti Baldissoni, Baldini, Monchi e Pallotta guardandosi negli occhi. Lo sguardo è finito nell’angolo dove Totti era rimasto in silenzio. Provate a immaginare la scena. Ci si è riaffidati alla vecchia Roma, e ora arriverà forse l’esempio più testaccino della squadra sensiana. Er Fettina, quel Claudio Ranieri che per poco non regalò il quarto scudetto alla Roma. Roba che da queste parti, in slang americano, non s’è mai vista. Scelta di buon senso. Vero perché Claudio è un aggiustatore tra i migliori al mondo. Ora però allertate Mazzone e Capello, i prossimi potrebbero essere loro.
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La Roma del futuro che guarda al passato
L'era Sensi si chiude con Ranieri e Montella, quella americana riprende con la novità Luis Enrique per poi tornare da Zeman e Spalletti. Ora è di nuovo il momento dell'artefice dell'impresa con il Leicester in Premier League
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