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Svilar: “Da bambino avevo la maglia della Roma. Felice delle parole di Mou”

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Il neo-portiere della Roma, che ha preso il numero 99: "Non vedo l'ora di vedere il tifo della Roma. L'ho scelta perché è un grande club"

Redazione

Mile Svilar si presenta. Dopo le prime parole di ieri all'arrivo a Trigoria da neo acquisto della Roma, il portiere nato in Belgio ma naturalizzato serbo, si racconta in conferenza stampa. L'ex Benfica, arrivato nella Capitale a parametro zero, ha scelto il numero 99, come il suo anno di nascita, e sarà il secondo di Rui Patricio.

PINTO IN CONFERENZA STAMPA

"Comincia oggi, o è cominciato ieri il calciomercato. Io parlerò dopo il mercato. Su Mile, voglio dire che sono molto contento di averlo portato a Roma, è il simbolo di quello che vogliamo fare in questo progetto, perché rappresenta il presente ma anche il futuro. È un giocatore diverso, e ha grande esperienza in due grandi squadre come l'Anderlecht e il Benfica. Tutti i grandi specialisti dicono che ha grandi potenzialità tecnica. È stato con me anche nel mio primo anno al Benfica. Gli auguro un in bocca al lupo".

SVILAR IN CONFERENZA STAMPA

Quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a essere qui? Pensi di poterti giocare della chance da titolare? "Buongiorno. La Roma è un grande club, mi è subito piaciuto il progetto giallorosso. Sono qui per lavorare duro, giorno per giorno e il futuro ci dirà cosa succederà".

A proposito di Mourinho, che effetto ti fecero le sue parole? Ti immaginavi che sarebbe diventato il tuo allenatore? "È evidente che quelle parole abbiano avuto un forte effetto su di me perché pronunciate da uno dei più grandi allenatori di sempre. Non l'avrei immaginato neanche nei sogni migliori. Sono qui per iniziare questa nuova avventura in un club con dei grandi tifosi, una grande tradizione, una grande cultura".

Quando sei arrivato a Benfica hai detto che avevi detto che era Matic ad averti convinto ad andarci. È stata la stessa cosa ora? E poi: quante lingue parli, sei nato in Belgio, sei naturalizzato serbo e hai vissuto praticamente la tua vita calcistica in Portogallo? Hai già iniziato a imparare l'italiano? "È vero, conosco Matic da una decina d'anni. Mi aveva parlato molto bene del club quando sono andato al Benfica. Lì sono stato davvero bene. Stavolta non mi aveva parlato della Roma, questa volta è stato Tiago Pinto. È vero sono nato in Belgio, ma mi sento serbo. Parlo cinque lingue, capisco l'italiano ma non lo parlo ancora".

Ti senti meglio a giocare con i tuoi compagni in difesa oppure preferisci i lanci lunghi? E poi, l'anno scorso la Roma è la squadra che ha fatto giocare di meno il secondo portiere, sei preoccupato di questo? ""Mi piace giocare sia corto che lungo, a seconda delle circostanze e delle indicazioni tattiche. Non sono preoccupato, sono venuto qui per lavorare duro e cercherò di cogliere le occasioni. Sono qui per imparare e migliorare di giorno in giorno".

Sei partito titolare nel Benfica, poi hai scelto il Benfica B. Andare via e venire alla Roma è stata una scelta per dimostrare il tuo talento? "È vero, sono partito forte poi qualcosa è successo. Il Benfica B è stata una bella opportunità, non sono sceso. Arrivare a Roma non è un trampolino per rilanciare la mia carriera, la vedo più come un'occasione per lavorare duro e affinare il mio talento, che è quello che conta di più. Sono in un bellissimo club".

Come immagini il tifo della Roma? Lo immagini diverso da quello del Portogallo? "Non so se i tifosi sono diversi, anche i tifosi del Benfica sono straordinari. Non vedo l'ora di sentire il calore dei tifosi, per ora l'ho visto solo su Instagram, per quello che è successo in questi mesi. Sono emozionato di poter vivere dal vivo quest'ambiente".

L'aspetto internazionale degli ultimi anni e il blasone della Roma ti hanno convinto a venire qua? Tiago Pinto ti ha indicato qualche strada? "Quando ero bambino avevo una maglia della Roma. Non credo che il blasone internazionale del club sia un fatto degli ultimi anni, lo è sempre stato. Pinto mi ha parlato certamente dei progetti del club, delle aspettative".

Cosa ti ha insegnato tuo padre? "Soprattutto all'inizio mi ha insegnato tutto. A dodici anni, mio padre era sempre dietro la porta, mi dava consigli. Poi dai 15 anni ho avuto un grande allenatore dei portieri che ha affinato la mia preparazione. Per rispondere alla domanda: mio padre mi ha insegnato molto, moltissimo".

Quanto conta la vittoria della Conference vista dall'esterno? "È importante, perché vincere una competizione internazionale è sempre qualcosa di enorme, basti vedere quanto se n'è parlato nelle ultime settimane. La Serie A è un campionato che mi è sempre piaciuto, non vedo l'ora di farne parte".