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Julio Sergio: “Un rimpianto quei 15 minuti di Roma-Sampdoria”

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Le sue parole: "Prima lo spogliatoio era diverso. Ora tutti prendono in mano il telefono e non parlano tra di loro”

Redazione

Julio Sergio, ex portiere della Roma, è intervenuto ai microfoni di Teleradiostereo. Ha parlato della sua avventura nella capitale, di come sono cambiati gli spogliatoi negli anni e di alcuni rimpianti della sua carriera. Ecco le sue parole.

Giovani calciatori lasciano il Brasile e si trasferiscono in un’altra città per giocare. Quanto è difficile ambientarsi? “Io sono arrivato in Italia e a Roma si sta bene perché c’è un clima buono e si mangia molto bene. Ci sono società, grandi società come la Roma o la Juve che fanno un grande lavoro con i giovani che arrivano da fuori. È importante che la società siano vicine ai ragazzo che arrivano in una nuova squadra e in una nuova città a 18/19 anni: in Brasile il modo di vivere è diverso e all’inizio è difficile. Avere una persona che ti aiuta ad ambientarti è importante”.

A Roma c’erano tanti brasiliani… “Sì, quando ero a Roma c’erano tanti brasiliani. Taddei per me è stato un fratello. A un certo punto eravamo in otto, eravamo tanti e questo aiuta. Anche con Burdisso mi sono trovato benissimo, è stato una bravissima persona. Panucci mi ha insegnato tantissimo, Totti è stato sempre disponibile. Ma prima lo spogliatoio era diverso. Ora tutti prendono in mano il telefono e non parlano tra di loro”.

La Roma in Brasile che squadra sarebbe per passione e rivalità? “Sarebbe il Corinthians. Sono i più appassionati, vanno sempre allo stadio, la Roma è sicuramente il Corinthians del Brasile”.

Se dovessi scegliere il miglior momento che hai vissuto a Roma quale sarebbe? “Esclusi i derby che sono di un’altra categoria, ci sarebbero tante partite. Mi ricordo una partita a Firenze che abbiamo vinto all’ultimo minuto e mi ricordo molto bene la gioia di vincere così. Ma ci sono altre cinquemila cose che ti posso dire che mi ricordo".

Le lacrime contro il Brescia. “Sono rimasto quattro anni in tribuna, mangiavo la pasta fredda in Ucraina e poi inizio a giocare, le cose vanno bene e non volevo uscire. Non avevano più cambi, allora decido di fare una fasciatura e rimanere. Non esco ed è stato normale per me: io quando provo a fare qualcosa voglio farlo bene e quello è stato il mio momento. Purtroppo poi ho perso 60 giorni e forse se li avessi giocati sarebbe stata un’altra storia”.

Un rimpianto? “Sono due: uno come calciatore e uno con la Roma. Come calciatore quando sono andato a Lecce potevo andare a Parigi ma ho fatto una scelta personale che oggi non rifarei. Con la Roma, sono i 15 minuti della partita di Roma-Sampdoria che hanno cambiato tutto”.