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Julio Sergio, l'eroe solitario

(di Alessio Nardo) Nel tardo pomeriggio di venerdì ha fatto la sua ultima escursione a Trigoria. Giusto il tempo di salutare tutti e chiudere l’ultima valigia.

Redazione

(di Alessio Nardo) Nel tardo pomeriggio di venerdì ha fatto la sua ultima escursione a Trigoria. Giusto il tempo di salutare tutti e chiudere l'ultima valigia.

Ora inizia un'altra avventura: Julio Sergio Bertagnoli è ufficialmente un nuovo giocatore del Lecce. Buona fortuna, non c'è che dire. Chiunque, nel passato, abbia onorato la maglia giallorossa merita l'in bocca al lupo più sincero. Come spesso accade a Roma, certe parentesi si chiudono col triste sapore della malinconia. La storia di Julio in giallorosso è stata lunga, intensa, piena di sorprese. Non una storia 'felice' al 100%, macchiata da rapporti misteriosamente disastrati col resto dello spogliatoio. Vicende mai chiarite, questioni per nulla limpide.

Dal suo arrivo a Trigoria, datato estate 2006, Julio non ha mai sollevato un barlume di polemica. Tre intere stagioni trascorse nell'ombra, a far spola tra la tribuna e qualche 'occasionale' panchina in Coppa Italia. Un oggetto misterioso, l'eterna riserva, più semplicemente il "miglior terzo portiere del mondo", come amò definirlo Luciano Spalletti. Il classico uomo spogliatoio, stimato dal tecnico e apprezzato dai compagni. Macché. Gli anni successivi hanno detto altre cose. O meglio, le hanno sussurrate. Nessuno ha mai avuto il coraggio di parlar chiaro. I veri problemi son sorti nel 2009, nefasto anno dell'infortunio primaverile di Doni con conseguente apertura d'inedite frontiere. Julio s'è visto inizialmente preferire il collega Artur, promosso 'titolare' da Spalletti per prendere il posto del convalescente numero 32.

Poi? La scelta rivoluzionaria, nel giorno dell'ultima panchina 'spallettiana': Roma-Juventus del 30 agosto 2009, seconda giornata di campionato: Julio Sergio titolare al posto del fallimentare Artur. Eccelso impatto per il "terzo di lusso", prepotente ruggito di classe dinanzi alla platea romanista. Vinse la Juve per 3-1, ma i miracoli a ripetizione di Julio consentirono alla Roma di limitare il passivo. Poi Ranieri, un rapporto speciale ed un percorso stupendo, spento dalla (malefica) doppietta di Pazzini in quel Roma-Samp del 25 aprile. In mezzo, tante cose belle. Due su tutte: la prodezza d'istinto e riflessi su Mauri nel derby d'andata, e il rigore parato a Floccari in quello di ritorno. Attimi di straordinaria emozione per un ragazzo passato dalle polveri all'altare.

Una favola. Durata il breve lasso di qualche mese. All'inizio della stagione 2010-2011, gli uccelli del malaugurio iniziano a svolazzargli attorno: "L'incantesimo è finito", decretano tutti al termine di Cagliari-Roma, seconda giornata di campionato. 5-1 il risultato finale. L'avvio del baratro, per la Roma e soprattutto per Julio Sergio. Il pianto a dirotto di Brescia, con caviglia fratturata, resterà un'istantanea indimenticabile. Infortuni, problematiche, vicissitudini. A colpire è l'atteggiamento 'negativo' del gruppo nei suoi confronti, esemplificato dall'ostile frecciatina di qualche compagno.

La famose frase di De Rossi dopo Milan-Roma del 18 dicembre (quella dei 'papponi', per intenderci) suona da limpida sentenza: "Doni, dopo Buffon, è il portiere più forte con cui ho mai giocato". Strenua difesa del collega (e amico) in difficoltà, ma anche un velato affronto al numero 27. L'addio di Ranieri e l'arrivo di Montella ne segnano per sempre il destino. L'abbraccio collettivo ricevuto da Doni dopo l'inaugurale vittoria 'montelliana' a Bologna disegna il definitvo quadro della situazione. Mai viste certe immagini e certe scene con Julio protagonista. Poi, a maggio, l'ultima stoccata 'da lontano' di Artur, finalista in Europa League col Braga: "Julio Sergio? Di lui preferisco non parlare". Bistrattato, escluso, lasciato in disparte L'ex 'eroe' ci ha messo anche del suo, preferendo estraniarsi dal contesto romanista sino all'ultima avventura in quel di Riscone. Mai dentro la squadra, mai visto all'opera. Un vero desparecido. Ultimo atto? L'inevitabile addio. Lecce, piccolo paradiso, isola felice. Per tentare di lasciarsi alle spalle dodici mesi da incubo.