Il difensore giallorosso Juan Jesus è tornato a parlare del tema razzismo in un'intervista a calciomercato.com. Queste le parole del brasiliano:
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Juan Jesus: “Mai abbassare la testa. Pronto a un gesto forte in campo”. E spunta un retroscena
Ha parlato anche il procuratore del brasiliano, Roberto Calenda: "Vedere un ragazzo come lui insultato così mi ha indignato come italiano"
“Lo faccio non solo per me, ma per tutti quelli che subiscono offese per il colore della pelle e devono chinare la testa. Non abbassatela. Tenetela alta, perché l’unica razza che esiste è quella umana. Siamo tutti fratelli. E se domani mi chiedessero di stare in prima fila in questa lotta ci andrei di certo e con orgoglio. Così come sarei pronto, per primo, a un gesto forte in caso di manifestazioni razziste durante una partita. Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno mandato messaggi solidali. Dal Premier Conte, al sindaco di Roma Virginia Raggi, a tutti coloro che hanno avuto un pensiero per me. Questa simpatia e gli attestati che ho ricevuto li giro a tutti quelli che subiscono insulti quotidianamente in ogni parte del Mondo. Non siete soli, siamo tutti uniti contro l’ignoranza e l’odio”.
RETROSCENA - Il caso che ha avuto ampio risalto mediatico, quello che ha portato al Daspo per l'utente dei social conosciuto come Pomatinho, non è stato però il solo. Già in precedenza il difensore aveva subito degli insulti probabilmente da un giovane tifoso. Con la Roma era pronto a muoversi in maniera forte e decisa anche tramite vie legali, fino a quando un nuovo messaggio, del padre del ragazzo, ha cambiato lo scenario: "Sono il padre, non sapevo nemmeno che mio figlio avesse instagram poi ho visto la notizia dei suoi insulti razzisti e mi sono vergognato da morire. Va contro tutto quello che gli ho insegnato. Da papà le chiedo di non sporgere denuncia, ci penserò io a dargli una lezione che non dimenticherà mai”.
SEGNALE - A fare da eco al suo assistito è intervenuto anche l'agente, Roberto Calenda, spiegando meglio la situazione e raccontando il difficile momento passato dal calciatore brasiliano: “Juan ci è rimasto male. Per l’appunto non è la prima volta che gli capita di subire questi insulti schifosi. Ci tiene tantissimo a questa battaglia. Non solo per lui che comunque ha le spalle grandi ma soprattutto per tutti quelli che nella vita di tutti i giorni devono sopportare epiteti schifosi senza avere le possibilità di difendersi”.
E questa volta perché avete deciso di andare fino in fondo?
“Perché questa volta si tratta di una persona che è andata avanti più di un mese a insultare Juan per il colore della sua pelle. Qui è razzismo allo stato puro, non un ragazzino che scrive cose che nemmeno conosce. Attenzione non voglio così giustificare tutti quegli haters minorenni che passano le giornate a ricoprire d’insulti persone famose. Anzi. Se non ci fosse stato quel padre così deciso a punire il figlio, noi saremmo andati avanti anche in quell’occasione. Perché serve dare un segnale. E quello di Juan e della Roma è bellissimo. Si è fatta giurisprudenza. Da oggi in poi nulla sarà più come prima”.
Perché, Calenda, lei ha deciso di esporsi su questa questione?
“Per me i miei giocatori sono come dei fratelli minori. Vanno affiancati in tutto e per tutto. Dall’aspetto legale, a quello sportivo a quello economico ma soprattutto a livello umano. Mi lasci aggiungere che vedere un ragazzo così per bene come Juan soffrire perché qualcuno gli ha scritto 'devi tornare allo zoo, negro' mi ha indignato non solo come agente ma come uomo e come italiano. Gli abbiamo chiesto noi scusa a Juan. Non tutti gli italiani sono come questo ignorante. Non è un problema di città, di nazione, di paese o stadio. È una battaglia di civiltà. Ovunque ci può essere odio e ignoranza. Ovunque bisogna combattere. Da oggi poi abbiamo le armi per colpire anche chi si nasconde dietro a un nickname e insulta in via privata sui social. È un passo gigante nella lotta al razzismo e all’odio in generale”.
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