2,5 miliardi di euro. Questa è la cifra spesa dai dieci grandi patriarchi del calcio italiano da quando hanno messo piede in questo mondo a oggi. Questo numero clamoroso è stato pubblicato in prima pagina dall’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ed è il risultato di un’inchiesta portata avanti dal giornalista Marco Iaria.
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I dieci grandi patriarchi del calcio italiano. Ecco perchè non c’è Franco Sensi
2,5 miliardi di euro. Questa è la cifra spesa dai dieci grandi patriarchi del calcio italiano da quando hanno messo piede in questo mondo a oggi.
La Gazzetta ha analizzato nel dettaglio gli investimenti dei protagonisti del G10 del campionato di Serie A: Masimo Moratti nell’Inter, Silvio Berlusconi nel Milan, Andrea Agnelli nella Juventus, Riccardo Garrone nella Sampdoria, Andrea Della Valle nella Fiorentina, Enrico Preziosi nel Genoa, Maurizio Zamparini nel Palermo, Gino Pozzo nell’Udinese, Aurelio De Laurentiis nel Napoli e Claudio Lotito nella Lazio.
Manca la Roma perchè è un caso a parte. La famiglia Sensi ha guidato il club giallorosso per 18 anni, dal 1993 al 2011. A cavallo tra gli anni Novanta e Duemila la Roma ha deciso di quotarsi in Borsa, questa operazione fruttò alla società 64 milioni di euro.
Era l’epoca delle spese folli di Franco Sensi: da Batistuta a Balbo, per arrivare a Cassano, Cafù e Candela. Lo scudetto del 2001 fu l’inizio della fine: stipendi alle stelle e la bolla delle plusvalenze a rompere il giocattolo.
L’impero della famiglia Sensi non è mai stato messo in crisi dall’As Roma. A compromettere la situazione sono stati i debiti accumulati dalla controllante Italpetroli.
Sensi ha cercato di salvare la situazione beneficiando la squadra di calcio e vendendo gli altri gioielli di famiglia: alberghi, giornali e molto altro.
Da quel momento la banca, prima Capitalia e poi Unicredit, ha fatto da regista al cambiamento del club giallorosso – dai romani agli americani – e tuttora tiene in pugno la società capitolina a suon di finanziamenti, pegni e anticipi sui contratti televisivi.
I patriarchi del calcio italiano sono maestri nel macinare profitti con il petrolio, le tv, la moda, i giocattoli e i supermercati ma dal momento in cui sono entrati nel mondo del pallone sembrano aver dimenticato troppo spesso le elementari regole dell’economia (285 milioni le perdite della Serie A soltanto nel biennio 2010-2011).
La Gazzetta spiega come questi uomini d’affari non siano dei benefattori e se investono molto denaro nel mondo del calcio e perchè hanno un tornaconto ben preciso. Essere nel gotha del calcio italiano garantisce visibilità e privilegi, asseconda manie di grandezza, in alcuni casi (prendete il consolidato fiscale) consente pure qualche vantaggio pecuniario.
FONTE blitzquotidiano.it
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