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Di Francesco: “Napoli test fondamentale, ma la squadra da battere è la Juve” – FOTO – VIDEO

Il tecnico: "La Roma e la squadra di Sarri sono quelle che si sono avvicinate di più ai bianconeri. Schick ha l'istinto del campione"

Redazione

Il tecnico della Roma EusebioDi Francesco questa mattina ha partecipato al Festival del calcio, evento ideato e realizzato da AC IMMaginario e dall’Associazione Zic, con il patrocinio e il supporto del Comune di Firenze e di Confcommercio Firenze.

Dal Caffè Paszkowski di Piazza della Repubblica, Paolo Condò e Giuseppe De Bellis intervistano l’allenatore della Roma.

Cosa è cambiato dal Sassuolo alla Roma? Dopo la sua seconda esperienza a Roma avrebbe mai pensato di ritornarci come allenatore?

Assolutamente no, perché la mia scelta all’epoca era di staccare totalmente dal calcio. Poi aver preso uno stabilimento a Pescara mi ha dato la possibilità di smettere e fare la vita dei miei genitori. Ma poi ti rendi conto che ti manca l'odore dell'erba, che ti mancano tanti aspetti del campo e quindi ci vuoi tornare. La casualità, il destino ha voluto che io tornassi a Roma e credo sia per me una cosa unica. Lo faccio con grande voglia, grandissimo entusiasmo, sapendo che davanti ci sono pressioni differenti. Magari si dice che a Roma ci sono più pressioni rispetto a Sassuolo: sicuramente sì, ma la voglia di far bene, la professionalità è identica. Hai le stesse responsabilità, e bisogna portare a casa i risultati, anche se sono diversi.

Per lei sarebbe stato uguale se fosse arrivata una proposta simile da altri club, come Juventus, Inter o Napoli: club che puntano al top?

Avevo alcune opportunità ma è stata una scelta di sentimento, al desiderio di tornare ad allenare in una città che mi ha dato tanto, alla quale sono molto legato. Questo è uno stimolo in più. Quando scelsi la Roma da calciatore è stata la stessa cosa perché io potevo andare in altre grandi squadre italiane, anche più blasonate della Roma, ma io ho scelto la squadra giallorossa per la persona che più mi ha voluto, Franco Sensi. Io a novembre avevo già un accordo con la Roma quando ero al Piacenza. Mi lego tanto alle persone. Sarei potuto andare da altre parti ma non è scattata la scintilla.

Come ha cambiato mentalità da giocatore ad allenatore?

È totalmente differente. Il calciatore pensa a se stesso, alla sua prestazione, alla possibilità di concentrarsi sul suo obiettivo. Mentre l’allenatore ha una società alle spalle, deve gestire uno staff tecnico, completo e un gruppo di giocatori. L'aspetto psicologico e gestionale diventa fondamentale. Le pressioni sono totalmente diverse, il calciatore dipende dall’allenatore. In allenamento bisogna far credere ai giocatori ciò che si propone. Io sono subentrato in alcune situazioni da allenatore in cui la squadra era stata costruita per il 4-4-2: siccome non sono un incosciente, ho continuato a lavorare sul 4-4-2, cercando di adattare le mie idee ad un altro sistema di gioco. E questo potrà accadere ancora, magari anche in questo campionato. L'allenatore dipende dal calciatore e viceversa.

L'allenatore della Roma deve aderire al volere popolare o essere disincantato, come Capello?

Il disincanto non è sinonimo di vittoria. Sono molto distaccato da altre dinamiche, perché cerco di portare avanti il mio lavoro. Se dovessi andare dietro alle chiacchiere farei sicuramente ancora più errori. Non si vince non sbagliando, ma si vince sbagliando meno. La squadra che sbaglia meno vince, e per fare questo bisogna staccarsi da certe dinamiche.

Come ha gestito la vicenda di Dzeko nello spogliatoio dopo la partita con l’Atletico Madrid?

Ribadisco che sia sbagliato, perché alle spalle c'è un lavoro e tanti non possono sapere quello che si fa in settimana. Ma al di là di Edin, che ce ne possono essere anche altri che in settimana fanno fatica a digerire determinate cose, è importante arrivare ai risultati per dare forza al lavoro. E’ difficile in questo ambiente, ma in generale e non solo a Roma: non diciamo così, non puntiamo il dito sui giornalisti, basta. Se avessimo tutti un’unica idea ci sarebbe qualcosa che non va. E’ giusto esprimere il proprio giudizio con rispetto, anche se qualcuno non l'ha fatto in questo modo. Il tempo è fondamentale per trasmettere un’idea di gioco. Per far crescere un’azienda ci vogliono anni, figuriamoci una squadra di calcio. Ricordiamoci di Sarri e delle difficoltà da lui avute inizialmente, va dato merito a chi lo aspettato. Siamo partiti con un ritiro e una tournée in cui ci siamo allenati pochino, poi abbiamo sfidato Psg, Tottenham e Juve senza perderne nemmeno una.

Un allenatore non ha più il potere di scegliere cosa fare durante l’estate?

Ora come ora ti direi di si, però se vieni preso a metà giugno quando tutto è programmato non è corretto andare a cambiare. Tu entri e ti devi adattare, ma non deve essere un alibi. A scuola di solito si passa dal facile al difficile. Noi siamo partiti con tutte gare difficili e questo magari non trasmette consapevolezza e forza alla tua proposta di gioco. Poi siamo arrivati alla sfida con l’Inter, che forse meritavamo più di tutte le altre gare di vincere, e l’abbiamo persa. In quel caso il giudizio si basa sui 20 minuti finali, che fanno la differenza. Io però non mi posso basare su solo 20 minuti ma su una prestazione complessiva, quello che magari la gente non riesce a capire. La forza sta nel continuare a credere in quello che si propone. Dzeko, in una gara in cui tocca 2 palloni ma per demerito non solo degli altri ma anche suo, doveva mettersi un pochino più a disposizione e la differenza sta lì. Ma lui lo sa benissimo, a fine gara anche io posso dire le cose non giuste. Di solito a fine partita nello spogliatoio non entro, parlo due giorni dopo quando la lucidità ti porta a dare giudizi differenti. Come anche i giornalisti, che magari fanno i voti di getto, come magari è giusto che sia. Si scrivono tante cavolate, ma è anche normale. Capisco che sia molto difficile scrivere durante la partita.

Com’è cambiato il rapporto con i media?

Dipende dal posto, da contesto. Ora ci si avvicina meno ai giornalisti, anche se dipende dai posti. Si parla nelle conferenze. Credo però sia normale perché tante volte si cerca più il pettegolezzo che il vero messaggio delle parole. Fa parte del giochino. I social hanno cambiato molto e all'attenzione che si dà. Non dico che sia sbagliato, fa parte delle nuove generazioni. Tornando alle pagelle è il particolare che fa la differenza perché vi assicuro che i calciatori leggono le pagelle. E gli danno molto peso. Questo può influire nell'andamento di una stagione, all'esaltazione o meno di un giocatore perché c’è chi si butta giù. Anche la mia comunicazione è importante all’interno della squadra. Un titolo di giornale può mettermi molto in difficoltà. Questo non deve accadere ed è fondamentale essere chiari per non cadere in situazioni difficili. I media sono importanti e fondamentali all’interno di uno spogliatoio, per me un pochino meno perché la vivo in maniera differente e riesco ad accettare qualsiasi tipo di giudizio. Poi se mi chiedi il mio parere io ti rispondo, ma non verrò mai a chiederti perché hai scritto una determinata cosa. Non lo farò mai.

Molti anni fa però si poteva assistere agli allenamenti…

A Sassuolo le porte erano aperte fino al giovedì, chiudevo le porte solo il venerdì per alzare un po’ l’attenzione nei calciatori, non per i giornalisti. A Roma la situazione è diversa, abbiamo la nostra casa del Grande Fratello che è Roma TV (ride, ndr). Poi a Pinzolo abbiamo avuto gli allenamenti aperti, vedo qui molti cronisti che erano lì a seguire il ritiro. A Sassuolo c’era un’ambiente diverso, c’erano pochi giornalisti. Sacchi ha portato una nuova dimensione del calcio, un calcio differente. Una volta si andava piano, adesso è tecnica e velocità

Nella partita della nazionale con la Macedonia ha notato la grande distanza tra difesa e centrocampo?

Sinceramente non l’ho vista. Non lo dico per non dare giudizi, ma il gioco di Ventura tende a far aprire il campo, a renderlo più grande. Può essere un vantaggio ma uno svantaggio nel recupero immediato. Io vorrei sempre avere una squadra corta, il difensore tende ad essere pigro quando non ha la palla e questa cosa va stimolata quotidianamente con una maggiore partecipazione.

Vuole una fusione tra possesso palla e attenzione difensiva?

Chi attacca deve essere positivo, chi difende deve essere pessimista e aspettarsi sempre il peggio. Dire “non me l’aspettavo” significa non essere un professionista. Non aspettarselo vuol dire aver subito gol e non averlo segnato.  Le transizioni sono immediate nel calcio, i tempi sono roba di centesimi: le transizioni sono molto veloci ora. Lavorare su questi aspetti è determinante.

Quanto tempo dedica alla lettera dei dati posto partita?

Gli do un’occhiata nel post partita, senza avere troppi dati. Mi interessano prima del match o all'intervallo. Mi piace chi riesce a non prepararsi le domande, ma chi fa le domande in base alle risposte. Per me l’unico analista è il mister, il copia e incolla non esiste da nessuno. Esiste il valutare i dati e trasmetterli ai giocatori. Il cambio di posizione di Nainggolan contro il Milan, quando l’ho messo sopra a Biglia, è stato motivato vedendo i dati dei palloni toccati. Lì è cambiata un po’ la gara. Marcare Biglia come conseguenza ha avvicinato Nainggolan verso la porta rossonera. I dati in alcuni momenti della stagione o della partita sono importanti. Se andate a vedere, i terzini della mia squadra sono i giocatori che hanno giocato più palloni, una scelta dettata dall'impostazione tattica della squadra avversaria.

Hai già studiato per il Napoli?

Assolutamente sì.

Vedendo la partita dello scorso anno, all'Olimpico contro il Napoli, magari la Roma avrebbe meritato di pareggiare?

Ricordo quella partita, ai punti il Napoli ha meritato la vittoria ma paradossalmente nel finale la Roma poteva fare 3 gol. Con il Sassuolo pareggiai al San Paolo e in casa. Ogni partita a una storia a sé. Il Napoli costruisce tanto da una parte, per poi andare a finalizzare dall'altra.

Ha capito il gioco di Sarri?

Il mister lavorando per più anni con la squadra è riuscito a trasmettere le sue idee di gioco. All'inizio lui giocava con il 4-3-1-2 che cambia totalmente lo sviluppo di una manovra: più verticalizzazione che gestione della palla. In questo momento la forza del Napoli è lavorare con le catene di destra e di sinistra. Non fa appiattire i giocatori sulla stessa linea di passaggio e quindi crea sempre soluzioni. Io cerco di lavorare prima sulla mia squadra.

Questo è già uno spareggio per la lotta scudetto?

Magari no, ma è una partita fondamentale. Ogni partita, piccola o grande che sia, la facciamo diventare importante, per poter essere attaccati a una squadra. Questa avrà un gusto particolare.

Roma e Napoli obiettivo da raggiungere per le altre?

La squadra da battere resta la Juventus. Roma e Napoli sono quelle che si sono avvicinate di più ai bianconeri. La Roma ha cambiato di più del Napoli, in primis l'allenatore, ma questo non vuol dire che siamo meno competitivi, siamo qui per crescere. Ci dispiace non aver giocato a Genova, a livello psicologico un po' pesa e può farlo anche a lungo andare.

Schick, che personalmente mi piace da impazzire?

Mi farebbe impazzire anche poterlo allenare... (ride, ndr). Ma si vede che ha l'istinto del campione, anche quando calcia in porta. Non sto a dire in che ruolo giocherà, magari cambierò qualcosa a livello tattico ma è un attaccante, non solo una prima punta, ma in futuro sono convinto che sarà un attaccante centrale. Dipende sempre dal sistema di gioco. Se andate a vedere le cose migliori alla Sampdoria le ha fatte partendo da destra, col piede invertito.

Giampaolo dice non è mai banale.

Ha qualità importanti, e ce le deve far vedere. È un ragazzo giovane e potrebbe mancare in continuità. Non diamo però giudizi affrettati. Ho allenato tanti giovani, qualcuno l'ho anche lanciato, e vi dico che vanno aiutati.