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Fonseca, lo stile oltre la maschera. Conte ha solo da imparare

LaPresse

L'allenatore portoghese, venuto in una Roma che a pensare al caos di Milano e Napoli di questi giorni viene solo da sorridere, ha messo in mostra un'eleganza che da altre parti sognavano e sognano ancora

Massimo Limiti

Magari a fine stagione saremo qui a imprecare, maledire e rosicare come sempre. Perché, magari, loro alzeranno trofei e noi invece, come dal 2008, vedremo gli altri festeggiare. Ma intanto grazie, Paulo Fonseca, per la dignità che ci hai ridato. E per lo stile con cui ti sei presentato fin dal primo giorno. Il nostro Zorro, nel senso migliore del termine.

Fonseca, venuto in una Roma che a pensare al caos di Milano e Napoli di questi giorni viene solo da sorridere, ha messo in mostra uno stile che da altre parti sognavano e sognano ancora. Specie dopo gli incubi Champions di ieri.

Con Fonseca non abbiamo visto giocatori scappare dallo stadio pur di non andare in ritiro, allenatori non presentarsi in conferenza, oppure presentarsi sparando a zero su una società che ha speso millemila milioni. Più di tutti, in Italia. Fonseca non ha mai cercato l’alibi degli infortuni, al massimo si è solo limitato a fare cronaca, e non ha neppure mai ironizzato sul presidente quando, ad esempio, gli ha fatto annullare la prima doppia seduta dell’anno per andare da lui a Siena. Non ha preteso di avere fuori rosa qualche giocatore, non ha messo alla berlina nessuno, anche quelli come Nzonzi e Schick che non facevano più parte del progetto.

Ha messo in mostra, Paulo Fonseca, uno stile elegante, con uno scivolone davanti ad un arbitro dopo la partita contro il Cagliari, a cui però ha chiesto immediatamente scusa. In pubblico e in privato, perché così fanno gli allenatori che parlano chiaro, non quelli che mandano messaggi a nuora perché suocera intenda. Se vincerà, Paulo Fonseca, lo avrà fatto con l’appoggio di una società che lo ha scelto nonostante mille incognite e si spartirà con tutti i meriti. Se non ce la farà si assumerà le responsabilità, o almeno la maggior parte di esse. Perché così fa un allenatore. Perché così fa un uomo. Uno che la maschera se la mette soltanto per festeggiare una vittoria storica, mica per finire in prima pagina dopo una sconfitta.