Che ci fanno una greca, un francese, un (ex) ragazzo di Ostia e due texani? Provano a far grande la Roma. Stavolta con idee chiare, senza aspettare le occasioni ma andandosele a prendere di forza. Le Fée, Soulé e Dovbyk sono colpi figli da 100 milioni totali dello stesso pensiero, sono figli di un futuro che non si vuole solo attendere. Se possibile si deve anticipare. Così Ghisolfi trova, la Soulokou approva e Friedkin chiude i giochi. In senso positivo. Una catena di comando corta, ma forte. Che non passa sotto il naso di De Rossi. Perché dietro ad ogni colpo visto finora c’è sempre almeno una telefonata del tecnico che se la cava in tre lingue e sa far pesare il fegato di uno che non ha bisogno di presentarsi prima con un messaggio su whats app. L’obiettivo è avere “leoni” affamati, ma soprattutto vogliosi di vestire la maglia della Roma mettendola al di sopra di una Premier o di un top club come l’Atletico Madrid.
EDITORIALE
Roma, una catena corta e forte per crescere davvero. E preparare altri colpi
I motivi che portano al convincimento ci interessano poco, ma fin qui la Roma si sta muovendo come mai aveva fatto negli ultimi anni. Con un pensiero unico. No, niente progetto. Quella parola lo riserviamo allo stadio di Pietralata. Ora si ragiona su un disegno. Che non è ancora completo sia chiaro, ma lascia intravedere un panorama diverso e regalerà altri colpi. Quelli che giustamente invocano i tifosi. I Friedkin dopo aver risanato un debito martoriato da chi era meno oculato hanno cambiato strategia: investire prima, raccogliere dopo. Nel frattempo però hanno aumentato i ricavi, riportato i tifosi allo stadio e creato un appeal europeo. Senza Champions. Che deve essere lo sbocco di un corso limpido. “È necessario unirsi, non per stare uniti, ma per fare qualcosa insieme”, scriveva Goethe. Lo hanno capito a Trigoria dove (e non parliamo di Mourinho) è rimasto solo chi davvero voleva far crescere la Roma. Non ci si fermi ora, per niente al mondo.
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