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EDITORIALE

Mancini e la critica della ragion dura. Ma non nominate il bullismo

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Quando si prendono in adozione termini come "bullismo" o "mobbing" per paragonarli a un intervento di gioco nel calcio bisognerebbe indossare dei guanti bianchi
Francesco Balzani
Francesco Balzani Collaboratore 

I social rendono virale anche ciò che sarebbe conosciuto a una ristretta cerchia di persone sedute a un bar di provincia. Fanno circolare opinioni, idee, interpretazioni in una nuova frontiera di democrazia che Umberto Eco definiva la legione degli imbecilli. Purtroppo, a volte, alcuni concetti prettamente da bacheca social vengono scritte anche sugli organi di informazione e proprio grazie alle piattaforme raggiungono un numero di persone indefinito. Ci sta, ma poi bisogna fare i conti con ciò che si scrive. E riuscire a specchiarsi in quello splendido lago di Como che in queste ore per qualcuno trabocca di frustrazione e qualche parola di troppo. Non per Fabregas, né per la società Como che conosce bene le dinamiche e giustamente ha incassato la sconfitta senza lamentarsi. Quando si prendono in adozione termini come "bullismo" o "mobbing" per paragonarli a un intervento di gioco nel calcio bisognerebbe indossare dei guanti bianchi e magari avere pure qualche capello bianco vicino a consigliarci. Bisogna capire esattamente come sono andate le cose, informarsi. E poi, forse, ma solo forse perché parliamo di due temi gravissimi, cercare di utilizzare metafore che possano essere anche sferzanti, anche disturbanti. Ma che non passino quel confine deontologico in nome di un campanilismo becero. Così chi vuole parlare di prepotenza finisce per essere protervo, per inzuppare in bile e arroganza una penna che dovrebbe servire per raccontare fatti, per esporre opinioni.  Non per sputare sentenze a meno che non parliamo di violenze reali che purtroppo anche qualche calciatore ha utilizzato fuori dal rettangolo verde.

Dare del bullo, del prepotente, del perdente a Gianluca Mancini avrà portato qualche haters in più, qualche pacca a quel baretto di provincia. Ma fa male al cuore di chi il bullismo lo ha subito davvero. Di chi sul lavoro ha seriamente subito abusi.  Lo diciamo senza retorica, non ci appartiene. E non abbiamo stigmatizzato Folorunsho, figuriamoci se lo facciamo con Ramon e Mancio oggi.  Quello che abbiamo letto oggi su La Provincia di Como non è solo un articolo pieno di riferimenti banali (vedi Gandhi, la M di Materazzi, Delitto e Castigo o il fatto che l'Italia non vinca più i Mondiali per Mancini). È un grave attacco alla persona Gianluca, papà di tre bimbi e punto di riferimento per molti giovani all'interno della stessa Roma. Criticarlo come calciatore è legittimo, giudicarlo per qualche atteggiamento sopra le righe è sacrosanto. Ma dipingerlo come un "un virus nei meandri del quotidiano, alla ricerca di slanci vitali che possano sopperire la sua inadeguatezza di stare al mondo" è un tentativo di voler somigliare a Somerset Maugham senza averne le capacità. E' un getto di veleno e non di inchiostro. Noi non vogliamo difendere Mancini, sa farlo da solo. Non racconteremo delle iniziative benefiche fuori dal campo.  Può piacere il suo modo di interpretare il calcio oppure no. Lasciamo il diritto di scegliere. Chi scrive è cresciuto col calcio anni '90, dove una querelle come quella tra Gianluca e Ramon avveniva ogni 10 minuti in campo. Non si scomponevano i Mura o i Brera, figuriamoci se oggi devono farlo i Nava. Negli anni abbiamo visto la celebrazione di personaggi tosti come Chiellini, Materazzi, Montero o Stam. Oggi non ci impressioniamo di certo per una discussione a centrocampo. Chi lo fa mira a colpire l'uomo, come era avvenuto anni fa a De Rossi o Totti. Perché tanto l'obiettivo è sempre quello. Ma almeno, lo diciamo per voi, cercate di non farvi tremare la mano mentre prendete la mira.