Edin Dzeko si racconta in un lungo speciale. Il capitano e leader della Roma parla durante i giorni di quarantena, in attesa di poter tornare in campo. Questa l'intervista completa a Sky Sport:
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Le parole dell'attaccante e capitano giallorosso: "Mi avevano detto che i tifosi italiani sono calorosi"
Sulla foto con la sciarpa giallorossa al collo.
“Ero ragazzino, anche io certe cose non le ricordavo. Poi ho visto quella foto e mi sono detto che sono romanista da sempre, non dal 2015”.
Su Sarajevo.
Sono nato a Sarajevo, il 17 marzo 1986. Ho una sorella che è più grande di me, di un anno e mezzo. Mio padre giocava a calcio a livelli un po’ più bassi rispetto a me, mi ricordo che da bambino andavo a vederlo. Sicuramente da lì viene la voglia di giocare a calcio, questo amore per il pallone. Ho dimenticato tante cose, avevo sempre il pallone. Giocavamo sempre davanti a casa, lì abitavano due fratelli di mio padre, con le rispettive famiglie. Poi è iniziata la guerra, dovevamo spostarci tutti. Mi ricordo che eravamo in giardino a giocare, poi sentimmo l’allarme di pericolo. Mia madre ci prese subito dentro casa, sapevo che qualcosa non andava bene. Piano piano ho capito, alla fine, anche se ero molto giovane. Più di tutto, avevo paura per loro. Dovevano uscire sempre, per lavorare, portare cibo. Poi i bambini sono così, quando non puoi, vuoi uscire sempre a giocare. Poi dovevamo spostarci, andammo più vicino al centro, abitavamo in 35 metri quadrati, eravamo in 15.
Interviene la sorella, Merima.
Ci troviamo a Otoka, il quartiere dove ci siamo trasferiti quando è iniziata la guerra. La casa dove siamo nati dista un paio di chilometri. È qui che abbiamo iniziato ad andare a scuola e quello lì è il campetto dove Edin ha fatto i suoi primi tiri in porta. Siamo rimasti qui per le elementari e le medie, i nostri ricordi più belli restano legati a questi posti. Il campetto, il parco, il nostro quartiere sono i luoghi dove abbiamo vissuto le emozioni più intense”. Nonostante la guerra è un ricordo gioioso.
Parola ad Aleksandar Kolarov.
Quello che è successo da parte nostra io e anche lui siamo dell’idea che ci siano uomini buoni e cattivi, non c’entra la nazionalità. Siamo nuove generazioni, che hanno vissuto cose da piccoli. Siamo professionisti e capitani delle nazionali, d’esempio su come ci si deve comportare. Lui è un amico, conosco tutta la sua famiglia, sarebbe da ignoranti parlare di queste cose, di cui la gente come noi non deve parlare.
Riprende il racconto di Džeko.
La gente ha opinioni strane su cose che non ha mai visto. Posso capire, ma è difficile parlare prima di vedere. Per questo mi piacerebbe che le persone che pensano alla guerra ci andassero, in un’ora ora si arriva in Bosnia, Sarajevo ora è bellissima. È una cosa bella da vedere.
I primi calci.
Dopo la guerra mio padre mi ha portato in una scuola dove ho iniziato ad allenarmi, era Zeljeznicar. Non ci si poteva allenare fuori, i campi erano distrutti. Il mio primo allenamento era in una scuola”.
Parla Jusuf Sehovic, suo primo allenatore al Zeljeznicar.
Sono stato il suo primo allenatore, ricordo il suo arrivo con piacere. Aveva 8 anni, stavamo facendo le selezioni dei ragazzi classe ‘86. Durante quel periodo, un ragazzo in particolare mi fece pensare che avrei dovuto prestargli maggiore attenzione. Vedevo in lui delle grandi qualità, aveva già un fisico atletico, agile e veloce. Notai subito che aveva una caratteristica importante: l’allenamento non gli pesava mai. Non ha mai saltato un appuntamento, non voleva mai lasciare il campo. Siamo subito passati alla preparazione vera. In quella fase aveva mostrato di essere superiore. Apprendeva in fretta, superando i momenti tecnici difficili che a quell’età sono decisivi.
Parla Mirza Trbonja, amico di infanzia di Džeko.
Siamo sul secondo campo d’allenamento, a Grbavica, dove Edin ha iniziato a giocare a calcio. Non era così bello a quei tempi. Quando Edin giocava qui, c’erano solo sabbia e rocce, era complicato dopo la guerra. Andavamo a scuola insieme. Era magrissimo, alto, simpatico, il calcio era già la sua vita quando era al liceo. Mi ricordo che ogni venerdì compravamo il giornale per leggere gli articoli su di lui, su come aveva giocato. Divertente, a ripensarci adesso, ma era una star a quei tempi. Giocavamo nella squadra d ella classe e della scuola, lui era il centravanti e io il portiere. Una volta giocammo una finale, presi 5-6 gol. Mentre Edin ne segnò 7. Dopo la partita mi disse che ero riuscito a prenderne di più di quanti ne avesse segnati lui. Era il migliore della scuola e tutti volevano giocare con lui, per fortuna giocava per la nostra classe, era davvero bello.
Di nuovo Sehovic.
Segue un periodo di lavoro ostinato, nei 4-5 anni successivi Edin spinge veramente tanto, progredisce notevolmente e ha grandi ambizioni. Aveva già deciso quale fosse la sua strada. Quello che fu determinante era questa spiccata voglia di lavorare duro, mi dava l’idea che lui volesse arrivare lontano, traspariva dal modo di lavorare. Qualsiasi fossero le condizioni del campo, Edin non ha mai perso un allenamento. In poco tempo giocava già con i ragazzi più grandi. Dopo neanche un anno era diventato titolare fisso negli Allievi, e stava attirando l’attenzione del campo degli juniores. All’epoca l’allenatore degli juniores era Amar Osim, oggi allenatore del Zeljeznicar. Anche lui aveva notato Edin, gli dissi che era il caso di dedicargli più attenzione e fargli fare allenamenti aggiuntivi. Amar ascoltò i miei consigli e di lì a poco passò agli juniores. Poi qualcosa di straordinario succede allo stadio Grbavica. Quel ragazzetto senza un pelo sulla faccia, appena uscito dalla guerra, entra in campo con la Primavera e mette a sgno 4 gol.
Džeko parla dello Zeljeznicar.
“Da lì è iniziato il mio cammino. Questo video non ce l’ho! Me lo devi mandare, per vedere ancora quei gol. Ero così (fa segno col dito), ero 193 cm ma 75-78 kg. Vecchi tempi (ride, ndr).
Le parole di Asim.
Lo conoscevo perché lo avevo visto quando ero tornato a casa dopo un paio d’anni all’estero. Tuttii parlavano di questo ragazzo giovane ma non piccolo perché era già molto alto, un ragazzino capace di segnare tantissimi gol. Io ero un giocatore della prima squadra e andavo a vedere le partite delle giovanili per guardare Edin giocare. Qualche tempo dopo sono diventato l’allenatore della Prima Squadra e un paio d’anni dopo, quando era grande abbastanza per giocare con noi, l’ho convocato in Prima Squadra. All’epoca non era così frequente che un diciassettenne giocasse con la Prima Squadra, ma l’avevamo seguito per i 4-5 anni precedenti e sapevamo che, anche se era molto magro e gli mancavano 15-20 chili rispetto agli altri giocatori, aveva le qualità per competere con loro. Avevamo una squadra molto forte all’epoca, ma ciononostante era abbastanza bravo per competere.
Di nuovo Džeko.
La prima volta, quando Osim mi ha chiamato, è stata una cosa incredibile. In quel momento lì, quando sei ragazzino, l’unica cosa che pensavo era di giocare per la Prima Squadra. Se avessi potuto fare una partita per la Prima Squadra per me sarebbe stata la fine del mondo.
Asim torna a parlare.
Voleva diventare un professionista a tutti i costi e faceva tutto quello che poteva nella sua situazione, per provare a farlo. Questo aspetto mi impressiona più del talento. Era molto serio e sapeva cosa voleva ottenere. Questo è il problema dei giovani d’oggi, che non vogliono fare nessun sacrificio. Edin voleva diventare un calciatore ed era davvero disposto a fare tutto il necessario per diventarlo.
Džeko su una partita.
Perdevamo 2-1, Asim mi disse di entrare, fare due gol e uscire. Lì per lì lo guardai e gli chiesi meravigliato se veramente dovevo segnarli. Purtroppo perdemmo, ma resta una cosa particolare.
Il passaggio al Teplice.
Al Zeljeznicar giocavo e non giocavo, non ero titolare. L’allenatore della Repubblica ceca era stato allenatore lì e andò via. Dopo 3-4 mesi mi chiamò e mi chiese se sarei voluto andare da lui. Allenava una squadra in B una sorta di seconda squadra del Teplice, mi disse di firmare per loro, andare 6 mesi da lui. Senza neanche pensarci dissi subito sì, sapevo che potevo migliorare ancora di più.
Di nuovo la sorella.
Edin ha lasciato casa a soli 19 anni, riguardando indietro mi sembra una cosa così lontana. Proprio l’altro giorno, parlando con lui, abbiamo realizzato che sono già passati 14 anni da quando ha lasciato Sarajevo. Sembra solo ieri, ma in realtà sono passati anni e tante cose sono successe. All’inizio eravamo preoccupati per il fatto che Edin dovesse vedersela da solo in Repubblica ceca, era giovane e non era mai andato via di casa. Ci chiedevamo come avrebbe affrontato le sfide e le tentazioni che avrebbe incontrato sulla sua strada. Siamo rimasti molto sorpresi quando ha iniziato a dimostrare che era perfettamente capace di cavarsela in qualsiasi posto del mondo si fosse trovato. Edin sembra essere nato per fare questo lavoro, così per affrontare tutte le sfide della vita. Sembrava fosse predestinato a compiere grandi cose e di fatto lo sta facendo.
Il passaggio a Wolfsburg.
Prima di andare lì esordii in nazionale, vincemmo 3-2 contro la Turchia. Già lì sentii qualcosa che c’era col Wolfsburg, mi vidi con Magath e firmai, per rimanere tre anni e mezzo.
Parla Cristian Zaccardo, suo compagno al Wolfsburg.
Il Woflsburg aveva preso me e Barzagli. Non ho bellissimi ricordi, anche perché con Magath era stato il ritiro più massacrante in carriera, con tre allenamenti al giorno.
Džeko su Magath.
Gli allenamenti erano duri, ma c’era un allenatore importantissimo che mi ha dato tanto, mi ha aiutato molto per la mia carriera. Alla fine abbiamo vinto il campionato. Una squadra che mi rimarrà nel cuore, lì posso dire di essere diventato un giocatore di un livello superiore.
Zaccardo su Džeko.
Era giovane, ma si vedeva che avesse qualità. Un giorno fece 1-2 tunnel e un gran gol in allenamento. Ci guardammo io e Andrea e ci dicemmo che era un giocatore da grande squadra.
Džeko sul gol all’Hannover.
Uno dei più belli. Per il Wolfsburg era come un derby. Vincevamo 3-0 nel primo tempo e avevo ancora paura, sapevo che se avessimo vinto lo scudetto sarebbe stato incredibile, tutti dicevano che alla fine avrebbe vinto il Bayern, non ci credeva nessuno. Volevamo dimostrare che meritiamo di vincere, battemmo tante squadre forti, il Bayern 5-1, il Dortmund 4-0, giocando un calcio incredibile.
La partita col Bayern Monaco.
“Quelle partite non potevamo sbagliarle, eravamo una squadra forte che andava sempre al massimo, che era preparata per tutto.
Zaccardo sul Wolfsburg.
Il segreto era il gruppo, eravamo molto coesi, con giocatori di qualità. Edin fec 26 gol, 28 Grafite, c’era Misimovic, molto forte. Un mix di giovani e meno giovani. A Natale eravamo noni, col girone di ritorno super arrivammo davanti al Bayern di Toni. Quando eravamo a tavola in ritiro, mi giravo a destra con Džeko e Misimovic, poi c’era Barzagli, un portoghese, un argentino, due giapponesi… si parlava tutto tranne che il tedesco. Ma ci capivamo.
Il passaggio al City.
Volevo fare un altro passo avanti, era la squadra giusta. Mancini mi voleva tanto, è importante che un allenatore mi voglia. Quando vai in una squadra come il City, con tanti giocatori forti, è importante che l’allenatore ti voglia.
Parla Roberto Mancini.
L’idea di prendere Džeko nasce dal fatto che stavamo costruendo il Manchester City per portarlo a livelli alti. Cercare di vincere la Premier dopo 50 anni. Cercavamo giocatori bravi. Edin era il profilo perfetto, aveva già esperienza europea, aveva vinto il campionato e fatto tanti gol. Nonostante la sua stazza era un giocatore mobile, tecnico, che ci mancava. Lo volevamo e lo prendemmo.
Parola di nuovo a Kolarov
Ho conosciuto Edin quando è approdato al Manchester City, parlando la stessa lingua l’ho chiamato e così ci siamo conosciuti di persona.
Roberto Mancini sull’arrivo di Dzeko al Manchester City
L’impressione su Dzeko era ottima, sapevamo che era un giocatore giovane che sarebbe migliorato.
Kolarov sull’arrivo di Dzeko al Manchester City
Sapevamo che era un giocatore che aveva vinto la Bundesliga con il Wolfsburg, lui si è inserito molto bene con la squadra, nella città e quindi ci siamo trovati tutti benissimo con lui.
Dzeko sulla sua avventura al Manchester City
Nei primi sei mesi non è stato facile perché c’era tanta concorrenza, però ho fatto 4 gol al Tottenham nel 5-1 finale. La partita successivamente poi sono rimasto in panchina per 90’… Ho chiesto al mister perché non avessi giocato, lui mi ha risposto che dovevo riposare. Aguero comunque fece tripletta al Wigan, io però non ero contento.
Mancini sul rapporto con Dzeko
È stato un ottimo giocatore anche se talvolta mi rompeva le scatole quando stava in panchina. Stavamo costruendo una squadra con 4 attaccanti tutti titolari tra Tevez, Aguero, Dzeko e Balotelli ed era difficile scegliere chi schierare, ma sono stati tutti fondamentali per la conquista del titolo.
Il rapporto di Dzeko con il gol.
Per me è fondamentale, a Manchester giocavo tanto e avevo il numero 10, un numero importante.
Dzeko ricorda la sfida con il QPR, valida per il titolo.
Non era normale non vincere quella partita, passammo in vantaggio per 1-0 con Zabaleta e pensavo che sarebbe stato poi tutto facile. Nella ripresa ci fu il pareggio, poi Barton fu espulso e rimasero in 10. Loro, però, passano in vantaggio e noi diventiamo nervosi, così come tifosi e l’allenatore Mancini. Entrai a circa 25’ dalla fine, abbiamo provato di tutto per ribaltare il risultato, ci sono state delle piccole occasioni, poi su azione da calcio d’angolo segnai il 2-2 ma pensavo avessi segnato troppo tardi.
Mancini commenta il pareggio di Dzeko.
Quel gol mi ha ridato fiducia, eravamo già al 90’ ma eravamo ancora in corsa, avevamo un paio di azioni per fare il terzo gol.
Di nuovo Dzeko.
Non ci credevo nemmeno io, nel calcio poi può accadere di tutto. Mi ricordo che al gol di Aguero feci uno scatto a una velocità massima, impossibile spiegare come abbiamo fatto quei due gol in due minuti, secondo me è difficile che una cosa del genere possa ricapitare in futuro e vincere così lo scudetto.
Amra Dzeko sul primo incontro con il suo futuro compagno.
La prima volta che si siamo conosciuti è stata una decina di anni fa, ma non parlammo molto. Due anni dopo, Edin è venuto a Los Angeles in ritiro con il City, abbiamo iniziato a parlare e a scriverci ed è nata la nostra storia.
Dzeko sul rapporto con Amra.
Siamo stati insieme per 5 anni prima di sposarci. Lei era a Los Angeles e io a Manchester, ci siamo sforzati per restare insieme almeno una volta al mese perché eravamo lontanissimi, poi abbiamo deciso di vivere insieme.
Di nuovo Amra.
Abbiamo vissuto insieme 6 mesi a Manchester prima di trasferirci a Roma. Prima di firmare con la Roma, abbiamo visitato la città per 4 giorni e ce ne siamo subito innamorati.
Prosegue Dzeko.
Quei giorni abbiamo camminato tantissimo, non so quanti kilometri abbiamo fatto. Amra poi è una corre (ride, ndr).
La scelta di firmare con la Roma.
Sapevo che il mio tempo al City stava per finire, mi convinse Sabatini. Il ds mi venne a trovare in Croazia e mi disse che senza di me non sarebbe tornato a Roma. Non è stato uno che è venuto e ha lasciato in sospeso le cose, lui è stato diretto, ogni minuto si accendeva una sigaretta (ride, ndr). Dopo è stato tutto più facile perché le società già si conoscevano, il resto lo conosciamo.
L’arrivo a Roma.
Una cosa incredibile, pensavo si vedesse solo in televisione, avevo sentito che i tifosi giallorossi erano calorosi ma non mi aspettavo un’accoglienza del genere all’Aeroporto.
Il debutto nell’amichevole con il Siviglia.
Abbiamo giocato bene, feci due gol e come inizio era promettente guardando poi la partita contro la Juventus in casa dove abbiamo vinto, abbiamo iniziato bene quel campionato.
Il primo gol in Serie A contro la Juventus.
Non mi aspettavo di fare gol, Iago Falque crossò e segnai. Purtroppo dopo abbiamo avuto delle battute d’arresto e non siamo più stati noi.
Il rapporto con Spalletti.
Diceva a tutti che si doveva dare di più, voleva che i palloni andassero in verticale per l’attaccante e quel gioco per me fu importante, altrimenti non avrei mai fatto 39 gol.
Il primo anno con Di Francesco.
In campionato ci sono stati alti e bassi, ma in Champions League abbiamo fatto un cammino straordinario che nessuno si aspettava. Per prima cosa, nessuno pensava che avremmo superato il turno avendo nel girone Atletico Madrid e Chelsea, tutti pensavano che saremmo retrocessi in Europa League.
Il debutto contro l’Atletico Madrid.
Alisson ci salvò in diverse occasioni, i Colchoneros avrebbero meritato di vincere.
Chelsea-Roma 3-3.
Penso che quella sia stata una grande partita per come l’abbiamo giocato, tra l’altro segnai un gol che probabilmente è il più bello della mia carriera.
Barcellona-Roma 4-1
Quando abbiamo preso il quarto gol ero molto dispiaciuto, sul 3-1 ero più fiducioso. Di Francesco preparò molto bene il match di ritorno ed è stato merito suo se poi abbiamo passato il turno.
Roma-Barcellona 3-0.
Tutti dicono che sono stati eliminati per demerito loro, la verità è che abbiamo giocato bene noi per tutta la partita. Penso che quella partita sia stata clamorosa, la guardo spesso e ancora non mi capacito di quello che abbiamo fatto.
Liverpool-Roma 5-2.
Non voglio ricordare quella partita, l’abbiamo buttata perché in semifinale fa male perdere così, quella partita rimane lì nella mia testa.
Il rapporto con Fonseca.
Gli dissi subito che con me non avrebbe mai avuto problemi, non ne ho mai avuti con i miei tecnici. Iniziai la preparazione e poi sono rimasto a Roma. Fonseca parlava spesso con me e mi diceva di rimanere, mi diceva di essere felice quando mi allenavo.
Lo spogliatoio della Roma.
Siamo tutti amici, anche da altre parti ti fai degli amici però qui a Roma siamo sempre tutti insieme, siamo un gruppo importante e siamo tutti molti amici.
Le critiche.
Quando segni sei il numero uno, quando non lo fai devi essere ceduto. Sappiamo come funziona, in tanti parlano. Tutti possono dire quello che vogliono, l’importante è ciò che vuoi ascoltare e sentire.
Parla il giornalista bosniaco Jasmin Ligata.
Edin è il giocatore più popolare della Bosnia, grazie alle sue avventure al Wolfsburg, al Manchester City e alla Roma in molti qui hanno chiamato i loro bambini come lui. Edin è una brava persona e il popolo lo sa, anche se c’è chi dice che non ha segnato dei gol, è una brava persona. Edin Dzeko è il popolo bosniaco.
Amra Dzeko parla di come il marito è visto in Bosnia.
Si parla spesso di lui, dove si presenta la gente diventa pazza, i bambini lo adorano.
Torna a parlare Jasmin Ligata.
Faccio il giornalista da 15 anni, quando mi chiedevano da dove venissi, tutti che parlavano della guerra. Poi, quando Edin ha vinto il titolo con il Wolfsburg, le cose sono cambiate e quando dicevo che venivo dalla Bosnia, tutti pensavano a Dzeko, lui è il nostro ambasciatore.
Riprende a parlare il tecnico dello Zeljeznicar Amar Osim
Nessuno può dire con certezza che Dzeko sarebbe diventato così forte, iniziando a giocare anche in Repubblica Ceca. Qui a Sarajevo si allenava che non c’erano le infrastrutture, non c’erano gli allenatori, non avevamo nulla. Era difficile immaginare che un calciatore da questo contesto potesse diventare così forte. Sapevamo potesse diventare un buon giocatore, non che diventasse uno dei primi 5 al mondo, che vincesse titoli in Germania in Inghilterra. A Roma, poi, è diventato uno dei più importanti della storia giallorossa, penso che nessuno se lo sarebbe immaginato.
Kolarov sulla struttura fisica di Dzeko.
È un giocatore completo, ha tecnica, è destro-sinistro, sa giocare a calcio e questi giocatori li adoro, quindi sono pochi i giocatori che hanno la sua struttura. Io non lo vedo come un attaccante, per me è normale che segni. Sono pochi quelli al mondo che fanno quello che fa lui. Per me è un sinistro anche se non lo ammette, prende sempre la porta (ride, ndr).
Interviene anche Zaccardo.
Ha il fisico, ha il senso del gol, è bravo tecnicamente.
Chiusura da parte di Mancini.
È tecnico, per il fisico che ha è anche veloce.
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