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Derby, dal 26 maggio mai più Lazio: ecco la cronaca di una “eterna sconfitta”

Dalla sfida vinta in Coppa Italia non ci sono più state gioie biancocelesti: 2 pareggi e 4 vittorie giallorosse. L' 1-4 di ieri l'apoteosi romanista

Mirko Porcari

"Non c'è rivincita..." Buono per tutte le stagioni, questo slogan ha visto sbiadire il proprio significato nel corso degli anni: nato e cresciuto all'indomani della finale di Coppa Italia del 2013, si è allontanato dal 26 maggio carico di una speranza condita da retorica ed una buona dose di orgoglio. Ha provato ad attraversare i campionati, chiudendo gli occhi di fronte alla prepotenza dei risultati ed all'anonimato della squadra, cadendo in un oblio che, con il senno di poi, sa davvero di "eterna sconfitta".

La storia, del resto, parla chiaro: alle parole seguono i fatti e per i biancocelesti quella vittoria ha segnato un debito doloroso con il destino. Da quel giorno, il derby è stato un'altra cosa. Si è tinto di giallorosso, ristabilendo la normalità acquisita dal lungo scorrere del tempo. Da quel giorno, la Lazio non ha più vinto.

Non c'è stato modo di piangersi addosso, l'estate aveva portato la voglia di riprendere in mano il proprio futuro, a Trigoria si era materializzato Rudi Garcia. "Un derby non si gioca, si vince" ed è stato proprio così, con le lacrime di Federico Balzaretti a spezzare la noia di una nenia stucchevole: "Coppa in faccia" la prima rivincita ha preso le sembianze dal dischetto, con Adem Ljajic mattatore in una gara tutta cuore e artigli. Era il 22 settembre 2013.

Al ritorno, con "la chiesa al centro del villaggio" molti fantasmi avevano lasciato spazio alla necessità di riconquistare la supremazia nell'ordine delle cose, ma lo 0-0 finale non aveva esaurito il credito romanista verso la stracittadina. Ci sarebbero stati tempi e modi per consumare la vendetta perfetta nel rettangolo verde. Era il 9 febbraio 2014.

Nuova stagione ed ancora sapore di beffa, per la Lazio un selfie indigesto ed una rimonta da incubo: 11 gennaio 2015, il lampo di Mauri ed un tiraccio di Felipe Anderson sembrano spianare la strada verso una settimana di festeggiamenti ma il cuore romanista rovina tutto. Con una fascia al braccio si può sognare, se poi ci sono anche la classe e l'immensità di Totti, ogni cosa è possibile: figlio di Roma, capitano e bandiera, il fuoriclasse ha sospeso in gola l'urlo laziale, prendendosi da solo il pareggio con una doppietta che ha fatto il giro del mondo.

"Campo di rendita..." bisognerebbe dirlo a Yanga Mbiwa, eroe per un giorno nel caldo di maggio: è il gol della Champions, quello che distrugge i sogni di gloria della squadra di Lotito e catapulta la Roma verso il nuovo anno. Con lui c'è anche Iturbe, il gol di Djordjevic è una parentesi fastidiosa nell'attesa del fischio finale. "...Ora che te voi inventà?" una maglia che dice tutto, ad indossarla c'è sempre il simbolo con il numero 10. Era il 25 maggio 2015.

L'attualità più stretta è quella di un anno vissuto senza troppe preoccupazioni, almeno nelle sfide tra concittadini: Rudi Garcia prima e Luciano Spalletti poi hanno presenziato all'assalto finale al dominio nell'Urbe.

"Non c'è rivincita" non si dice più, voce e spirito sono rivolti verso la realtà di una squadra, quella biancoceleste, che deve fare i conti con problemi di ogni tipo: l'8 novembre 2015 ci pensano Dzeko e Gervinho a far esultare i tifosi romanisti, la giornata di ieri ha declamato la sentenza definitiva sulle forze nella Città Eterna. È l'apoteosi firmata El Sharaawy, Dzeko, Florenzi e Perotti. "Mentalità provinciale", sarà forse questo il nuovo motto che accompagnerà l'attesa biancoceleste ma un derby è sempre un derby. E chi lo vince sarà sempre il padrone del mondo. Almeno per una settimana.