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De Rossi: “Un peccato il no allo stadio, è rimasto solo il plastico. Pellegrini-Immobile, meglio una telefonata”

LaPresse

Daniele ospite della Luiss: "Sogno di vincere da allenatore con la Roma. Ibra a Sanremo? Manica larga della società perché l'ha portata al primo posto"

Redazione

Studente e insegnante. Si può essere entrambe le cose, anche contemporaneamente se ti chiami Daniele De Rossi. L'ex capitano studia per ottenere il patentino per allenare in Serie A ma intanto stamattina è ospite del corso di Team Manager dell'università Luiss.

Il ruolo del team manager nel calcio.

I calciatori sono ragazzi poco più grandi di voi o dell'età vostra. C'è quello super professionale e umile che non chiede nulla, quello più viziatello e ha più richieste. Dovrete prepararvi a livello organizzativo e di studi ma anche a livello mentale, perché non è facile per niente.

Il gioco in Italia. 

Qui si sta iniziando a cercare un gioco diverso rispetto a quello degli anni in cui ho iniziato io. Ci sono molte squadre che giocano molto a pallone, che attaccano, fanno un calcio propositivo. Il problema è che in Italia se non vinci escono fuori 60 milioni di allenatori che ti spiegano perché sono più bravi di te. L'allenatore è molto solo, da calciatore notavo che quando vincevamo eravamo tantissimi a dividere la gioia e quando perdevamo il mister era meno circondato dagli affetti. In Italia vieni giudicato tanto, forse troppo, per il risultato. E l'allenatore è spaventato e cerca di arrivare più in fretta al risultato. Chi gioca meglio però rischia di vincere. Chi ha più possesso palla, più padronanza, ha più possibilità di vincere. Ma nel calcio puoi fare tantissimi tiri e poi perdere 1-0.

Qual è il punto di equilibrio tra grande attacco e difesa che fa innamorare?

La Nazionale del 2016 aveva un grande condottiero, meno forte tecnicamente di quelle precedenti o di questa. Non eravamo squadre spumeggianti, ma non giocavamo male. Sapevamo cosa fare in campo, avevamo i nostri codici e li riconoscevamo. Non c'è un solo modo per giocare bene: la più divertente è quella del Barcellona e della Spagna, ma avevano grandissimi interpreti. Non è facile fare quel calcio se non hai Messi, Iniesta, Xavi. L'intelligenza dell'allenatore sta nel far vestire un abito in base ai giocatori.

Il ruolo del team manager.

C'è stata un'evoluzione anche di questo ruolo, che è cambiato nel corso degli anni in base alle esigenze dei calciatori e degli allenatori. Le società ora si occupano più di scuola, il percorso universitario ti apre la testa. Io sono riconosciuto come uno che sa parlare, che si sa comportare, parlo inglese e spagnolo, due idee in fila le so mettere, e ho la terza media. In quarto superiore ho iniziato ad allenarmi con la prima squadra. Si allenavano la mattina, se ne fregavano di me che dovevo fare gli esami. Non rimpiango quella scelta, ma a volte i calciatori sono portati ad una scelta. Al Boca i ragazzi devono andare tutti a scuola, è un'organizzazione diversa. Se lo fanno lì, perché non si fa qui? Mio papà fa la Primavera e mi sembra che questa sia la direzione anche del calcio giovanile. È importante avere un percorso di studio alle spalle e la conoscenza dei propri limiti. Il calciatore si sente onnipotente, poi quando smetti tutte le porte che erano spalancate cominciano a chiudersi. Non si deve cadere nello sconforto. Se non hai la conoscenza dei limiti non capisci che devi riciclarti, devi studiare e imparare. L'unica alternativa è buttarsi sul divano o sgomitare per rientrare nel mondo del calcio.

Strutture e settori giovanili, siamo in ritardo rispetto agli altri Paesi?

Negli altri Paesi costruiscono giocatori che sappiano parlare, studiare, riconoscere il calcio che vorrebbero fare. La generazione che ha vinto il mondiale in Brasile, sette-otto undicesimi erano insieme già nei settori giovanili. Negli Usa non c'è giocatore che non passi per l'università, sia come percorso di studi che tuo di crescita, anche fisico. Studiano, vanno a scuola, prendono una laurea e la prendono anche quelli che non diventano grandi atleti negli sport professionistici. Passare attraverso gli studi ti porta ad avere una via che non sia per forza quella del grande atleta.

In Argentina?

Assomigliano molto a noi del sud, hanno calore e predisposizione all'accoglienza incredibile. A livello sportivo ci sono analogie: anche lì devono sviluppare meglio il loro organigramma. Il team manager nel Boca esiste perché l'ha messo Burdisso, il direttore sportivo non esiste e sta nascendo adesso. In Argentina pensano che il calcio in Europa sia tutto perfetto. Non sono anni luce indietro, ma avere ex giocatori come Nico che ora li possano aiutare a crescere, è fondamentale.

Anche lì radio accese tutto il giorno e allenatore in croce dopo due sconfitte?

Peggio. Non è così per tutte le squadre credo, ma il Boca è una lavatrice che fa la centrifuga 24 ore al giorno. Roma è una città dove si parla solo di calcio, ma c'è anche la Lazio e si parla anche delle altre di Serie A. A Buenos Aires si parla di Boca e River. Questa rivalità fa sì che si alimenti il chiacchiericcio. Il giornalista del Boca parla bene del Boca e male del River, quello del River magari si inventa delle cose... Qui cerchiamo di essere super partes, anche se tutti i giornalisti hanno una squadra del cuore. Lì è una dinamica frequente, a livello giornalistico è così. La rivalità la riportano sempre dentro anche se ci sono giornalisti bravissimi. È un mondo particolare, con me sono stati quasi tutti bravi.

A Roma si parla dell'ambiente romano, ma è così? Noi media e voi non possiamo migliorare? C'è speranza?

Sono stato uno di quelli che ha sempre visto nell'ambiente un problema o qualcosa che toglieva. Più andavo avanti negli anni e meno peso davo. Noi stessi come squadra e come club siamo artefici del nostro destino. Abbiamo riconosciuto questo mostro astratto della piazza romana, ma alla fine non vincevi i campionati perché la Juve comprava i tuoi giocatori più forti, perché l'Inter ha un monte ingaggi che è il triplo del tuo. Arrivi secondo e l'anno dopo la Juve compra il tuo giocatore migliore come Emerson o Pjanic e devi ripartire, prendere un nuovo Pjanic che magari deve fare due anni di ambientamento. Non dico che siamo stati perfetti come calciatori, ma alla fine l'ambiente romano è questo fantasma che aleggia. Ci sono i rompiscatole, chi si lamenta senza motivo, ma poi in campo ci vanno i giocatori che compra la società.

Come farai a gestire una squadra?

Non lo so, ma so come hanno fatto i miei ex allenatori e dirigenti. La lealtà è la cosa che paga di più in un rapporto allenatore-calciatore e dirigente-allenatore. Conte mi chiamò e mi disse che se avessi continuato a giocare così non mi avrebbe portato agli Europei. Mi sono creato degli alibi, poi ho fatto dei calcoli e ho capito che voleva ottenere qualcosa da me. La trasparenza io la premio sempre, anche se non c'è una legge universale. C'è quello a cui devi parlare davanti a tutti, quello che migliora dopo una mazzata davanti a tutti quanti. C'è quello che invece devi prendere da parte, farlo sentire bello e bravo e magari ottieni vantaggi così. Ora stanno inserendo la figura del club manager come Peruzzi: non l'ho mai visto lavorare e lo conosco come persona ed è una persona trasparente. Non c'è un giocatore della Lazio che parli male di lui: è una persona perbene, un fenomeno dal punto di vista umano. Un collante tra società e spogliatoio può solo far bene.

Sul caso Pellegrini-Immobile per una foto. Guarda che è successo... 

Questo è figlio delle rivalità e del mondo social. Io non mi sento molto a mio agio sui social, ci sono entrato da tre mesi perché c'erano 15-20 pagine fake che parlavano a mio nome, ma stavo benissimo nel mio anonimato social e di vita. Non puoi incontrare sempre gente che accetti la tua libertà di frequentare chi vuoi, chi è aperto di mente, ecco perché dobbiamo cercare di esternare queste cose. Peruzzi non fa il team manager, parlo di lui perché è stato uno dei primi a fare questo ruolo ed è il migliore a farlo. Io sono amico con tanti giocatori della Lazio, abbiamo un amico in comune con Cataldi. Una volta eravamo agli Internazionali di tennis, gli ho parlato e l'ho messo a suo agio ed è un ragazzo meraviglioso. Ho fatto bei derby, ne ho vinti e persi, c'era questa grande foga che mi ha portato ad avere atteggiamenti sopra le righe, ma adesso a distanza di anni non penso ci sia un calciatore che pensi male di me a livello professionale e umano. Perché non mi piacciono i social? Perché se voglio fare gli auguri a un mio amico della Lazio lo chiamo al telefono e glieli faccio. Se fossi stato club manager, avrei detto a Lorenzo di chiamarlo e magari di non mettere la foto. Non perché è sbagliato, ma perché così nessuno si offende, visto che era passato qualche giorno dal derby perso. Ma non ha mancato di rispetto di nessuno. La prossima volta che perderemo un derby, magari ci penserà due volte a mettere la foto ma solo per togliersi qualche rottura di scatole.

Luis Enrique e l'esclusione a Bergamo.

In quell'occasione ha fatto bene, perché ci aveva chiesto professionalità e puntualità a inizio stagione. Io quel giorno ero sul letto, mi è iniziato a suonare il telefono perché pensavo di avere ancora 20'. Lui ci aveva detto che chi sarebbe arrivato tardi non avrebbe giocato, ed è stato così. Un altro allenatore come Rudi Garcia mi disse che non si sarebbe sparato da solo una palla sul piede, sono due modi diversi di pensarla. Luis Enrique disse che non ero pronto per fare la partita, il giorno dopo è uscito che ero andato a Milano in discoteca, che avevo fatto a botte con Kjaer, che invece era fuori per scelta tecnica. In quel momento ha guadagnato mille punti con la squadra.

Su Ibrahimovic a Sanremo.

Non è una cosa che può gestire l’allenatore, ma la società. Ibra ha rivoluzionato la squadra, è un motivatore per tutti. Se ha chiesto di partecipare in un momento delicato io penso che a quel punto debba intervenire la società, il tecnico non può fare il parafulmine. Credo ci sia stata manica larga perché lui ha fatto diventare il Milan una squadra che fino a una settimana fa era prima in classifica. Gli è stato dato spazio per questo, l’allenatore a volte deve accettare quello che succede.

Sul "no" alle Olimpiadi e allo stadio. 

Avere uno stadio di proprietà per la Roma sarebbe stato importante, ma entriamo in discorsi che non conosco. Non so perché hanno detto di no, sono cose che non conosco e faccio fatica a giudicare. Ero affascinatissimo dalle Olimpiadi, chiesi di fare il fuoriquota perché sono un appassionato di sport. Tutti avrebbero avuto piacere a vedere le Olimpiadi dietro l'angolo. Ma non conosco i termini e perché abbiano detto di no e quali problemi avrebbe creato alla città. E sullo stadio idem. In un'altra città che è Torino, la Juve ci ha messo poco. Gli Agnelli sono influenti, magari hanno avuto qualche porta aperta in più, ma hanno avuto il loro stadio. Non faccio l'economista, ma abbiamo letto quanto aiuto lo stadio. Ho fatto due presentazioni dello stadio a Roma, con i Sensi e Pallotta. Hanno tirato via il velo, tutti ad applaudire, pensavo fosse fatta in entrambi i casi: poi siamo rimasti col plastico che sarà in qualche sgabuzzino. È un peccato, immagino ci siano state mille problematiche e rivalità, ma è un peccato per la Roma e la città. Sarebbe stata la miccia che avrebbe dato un cambio di marcia.

Un team manager che potrebbero prendere d'esempio i ragazzi? Hai avuto vibrazioni migliori con ex compagni o con dirigenti?

Mi fa piacere vedere che ci siano donne come team manager al Bayern Monaco o alla Spagna. Il team manager ha compiti organizzativi molto sensibili, ma diventa anche una fonte di sfogo. Manolo Zubiria non era pronto i primi giorni, il mister gli chiese di scrivere gli orari di sveglia e colazione, ma lui disse che non era quello il suo ruolo. Ci ha messo qualche giorno, poi è diventato bravissimo. Ora devi essere anche più bravo con i social, con le lingue, non è come Tempestilli nel 2000.

I sei cambi con lo Spezia. Lì era lo staff tecnico che doveva fare la differenza? 

È stata troppa la cascata d'odio che ha ricevuto sui social e non solo. L'errore l'ha fatto, c'è un concorso di colpa. L'allenatore si gira e ti chiede. Quando l'ho chiamato mi ha detto di aver sbagliato, se avessero mandato via da Trigoria tutti quelli che hanno sbagliato in questi anni, resterebbe solo la lupa senza nessuno. Non ho chiesto il reintegro, ho solo salutato sui social un ragazzo. Ma per uno non abituato come lui a ricevere insulti, mi faceva pena, è un bravo ragazzo. Ho testimoniato il mio affetto. Non ha mai cercato scuse e l'ho apprezzato tanto. Accanirsi contro chi sbaglia non mi trova mai d'accordo.

Pensi di essere pronto a una grande squadra o vuoi partire da una medio-piccola?

Non lo so. Sono pronto per questo nuovo mondo, ho grande voglia. Ieri sono stato a Casteldebole a vedere il Bologna. Sto bene a casa, mi sono riappropriato della famiglia, però ho risentito il brivido vedendo la squadra che si allenava. Sono pronto per fare questo percorso. Devo prendere il patentino che inizierà l'8 marzo. Non so con cosa comincerò, la squadra molto grande non mi cercherà perché c'è un percorso per tutti quanti. Pirlo ha avuto un inizio sui generis, è difficile trovare un allenatore senza esperienza in una squadra come la Juve. Spero di partire dal posto più alto possibile perché hai i giocatori forti ed è più facile che capiscano, che risolvano loro le situazioni quando sbaglio cambi o formazioni. Gli errori li fai e si notano meno quando hai grandi giocatori. C'è stato abbastanza interesse nei miei confronti in questi ultimi tempi, ma ora non posso allenare.

Prima o poi la panchina della Roma però... 

Mi piacerebbe, ma cerco sempre di non parlare della Roma perché le mie parole hanno un peso diverso. Ho annullato un'intervista dopo il derby perso 3-0, sembrava che volessi inserirmi in qualche piccola crepa. Mi hanno sempre dato fastidio gli ex giocatori della Roma che tiravano frecciatine o raccontavano quanto le cose non andassero bene o chi si riproponeva per apparire. E quindi cerco di non farlo io. Sono importante per la maggioranza dei tifosi, ma sono un ex ma cerco di parlare poco perché non voglio disturbare.

La componente social quanto incide e quanto conta la società nell'educare i giocatori?

Capita che un giocatore non facendo niente di male e rivendicando un'amicizia come quella di Pellegrini e Immobile, si dà fastidio a qualcuno. Non c'è niente di male, ma per lavorare bene c'è assoluta serenità e un team manager può aiutare. Anche io faccio gli auguri a Immobile, i tifosi devono mettersi l'anima in pace: chi gioca in nazionale è amico. Io ho un fratello che è Pinzi, ha l'aquila tatuata. Ma noi dobbiamo essere furbi da evitarci quelle scocciature che possiamo evitarci. Non dobbiamo non voler bene una persona o non frequentarla, ma ci sono mille modi per non farsi beccare. Ho sempre salutato e abbracciato i giocatori della Lazio o della Juve, ma le cose uscivano solo quando perdevamo. Bisogna cercare di non sbattere queste cose in faccia a chi è talmente innamorato da essere offuscato, e la società deve aiutare.

Gli ex calciatori siano agevolati nel diventare allenatori o direttori sportivi?

Pirlo ha preso la Juve prima di fare l'esame. Il regolamento dice che se sei iscritto al corso Uefa Pro, puoi chiedere una deroga e allenare. Lui è stato anche bloccato dal Covid, così come me o i miei compagni di corso. Però sì, abbiamo un vantaggio rispetto a chi non ha giocato ad alti livelli. Non solo come percorso di studi, ma anche perché un dirigente è più affascinato dall'ex calciatore piuttosto che a uno che è più bravo. Ma è una cosa naturale, poi ci sono le partite che o le vinci o le perdi. Questi percorsi hanno le gambe corte: posso avere vantaggi, ma se poi faccio male per tre anni, il quarto avrò difficoltà a trovare una panchina.

Il calciatore in cui ti rivedi di più? È stato giusto il modo in cui la Roma ha gestito la fine del tuo rapporto?

Di giocatori ce ne sono diversi. Ma la Roma ora ha due capitani degni che sono Lorenzo Pellegrini e Edin Dzeko. Sarebbe sbagliato a Lorenzo di avere il mio carattere focoso o lo stesso a Edin. Ma saranno capitani a modo loro, sono rappresentato bene da loro. Il mio allontanamento dalla Roma è stato gestito in maniera normale. Ma una cosa mi è dispiaciuta ed è un articolo di giornale, che è stato scorrettissimo e ci sono possibilità che sia partito da dentro ed è una cosa che mi ha fatto male. Pallotta e Baldini sono stati presi a parole in tutto il mondo ma non ho rancore nei loro confronti. Avrei voluto fare qualche anno in più, non vedo un attacco al re o alla regina clamoroso nel non rinnovare un contratto a un giocatore di 36-37 anni. Tante cose si potevano fare in maniera diversa, ma è stata presa una decisione sportiva e l'ho accettata. L'aria non era buona nello spogliatoio perché erano e sono attaccati a me. Avevo sempre persone sotto casa, era un baccano che non mi faceva impazzire. Non continuare mi ha dispiaciuto, ma non l'ho mai vissuto come una tragedia. L'ho capito mesi prima che non l'avrebbero rinnovato, ma non è stata una bestemmia. La gente mi chiede come mai non abbia pianto: perché ero contento di quello che avevo fatto. Poi l'addio di Francesco è stato l'anticamera del mio addio. L'ho visto soffrire, volevo arrivarci pronto per star bene con me stesso. Una volta ero a fare le onde d'urto al ginocchio e questo dirigente mi disse: "C'è una Roma con De Rossi e una senza, devi stringere i denti". Poi mi è stato raccontato che lo stesso dirigente ha detto: "Non ce la faceva più, camminava in campo". Queste piccole dinamiche mi hanno dato fastidio, io non ho sputato veleno con nessuno. Più l'articolo di giornale... Mi hanno dato fastidio più queste cose.

Come si gestisce lo spogliatoio dopo una vittoria come quella del Barcellona?

Io ero all'antidoping... Nei giorni successivi si cerca di fare il contrario di quando si prendono le batoste: cercavo di fare il giullare, di analizzare gli errori, di dare una pacca sulla spalla. Quando vinci invece fai il contrario: cerchi di trattare male quello che è già con la testa ad alzare la Champions... Quando vinci sei rilassato, devi fare il rompiscatole di turno. Anche perché pochi giorni dopo avremmo giocato partire per centrare la qualificazione in campionato. Io ero il primo che festeggiava, anche a 35 anni quando vincevamo partite importanti e i compagni andavano in discoteca io mi buttavo dentro. Bisogna saper godere di queste cose, il calcio è anche gioia. Si vive talmente male in questa città quando si perde che è bello ritagliarsi momenti di fanciullezza e incoscienza quando si vince.

Il cambio contro la Svezia e la protesta per il cambio. E perché non sei entrato per il rigore contro la Germania?

Non ho detto che non sarei entrato, ho rispettato sempre le scelte e dopo poco mi sono andato a scaldare. Una volta con Spalletti sono entrato a venti secondi dalla fine contro l'Inter, rispetto le scelte. A Bordeaux avevo chiesto di battere il rigore a Massimo Carrera. Non ero in grado di giocare, correvo e calciavo ma ero zoppo. Sturaro giocò con un ginocchio rotto e giocò benissimo. Provammo i rigori, uno di quelli con la media più alta era Simone Zaza, che io stesso ho consigliato come rigorista. E lui ancora me lo dice che l'ho rovinato...

Come si gestisce un campione? Un essere umano che ha la consapevolezza che quello che fa lo fa nel miglior modo possibile?

Ho giocato con tanti campioni, da Totti a Pirlo, Buffon, Cannavaro e Nesta. I campioni veri sono i più facili da gestire. Quelli che hanno i grilli per la testa, che vogliono un trattamento particolare, non rendono come questi qui. Totti è stato un top assoluto per 25 anni ma non è mai stato un problema né diverso dagli altri. Buffon sono sicuro che non vada a chiedere trattamento di riguardo o l'ora in più libera. Arrivi a essere un campione perché sei di un'altra categoria e ce ne sono pochi nella storia del calcio unici come giocatori e unici come persone. Maradona ogni tanto si prendeva un'ora in più di permesso o non si presentava, però non ce n'è uno che non sottolinei quanto fosse semplice e normale, facile da gestire, altruista. Un campione così che si fa voler bene, gliela concedi più volentieri un'assenza o un chilo in più o un ritardo.

Ti rendi conto di essere immortale a Roma? 

È una cosa grande. Mi ritrovo a parlare con mio figlio piccolo, non sa che gioco a pallone e si ricorda più cose del Boca. Cerchiamo di spiegargli perché la gente mi abbraccia per strada o perché mi fermano ogni due metri per una foto. Ne sono consapevole, riguardo l'immortalità vediamo quanto dura... Ma è dovuto alle scelte che abbiamo fatto io e Francesco, quanto abbiamo difeso i colori. C'è un amore nei confronti della Roma che non trovi da altre parti, che non puoi spiegare a chi è di altre parti, ti direbbero che è eccessivo: ma è quello che porta me, Pellegrini e Florenzi - finché ha potuto - a rifiutare proposte di squadre dove magari vincere. Amadei non ha ore di video, di Losi abbiamo una dichiarazione di quando giocò bendato, lo stesso Giannini, Di Bartolomei, Bruno Conti: tutti giocatori indimenticati e indimenticabili che avrebbero più risalto se avessero ore e ore di interviste, di immagini, video. Spero di essere in grado di essere allenatore, ma girerò tante squadre: non si può rimanere tanti anni in una squadra. Ma quello che sogno più di tutto è vincere qualcosa qui da allenatore, sarebbe la chiusura di un cerchio unico.