Daniele De Rossi è tornato a parlare. L'ex tecnico e bandiera giallorossa era tra gli ospiti al Maxxi di Roma di Sport Industry Talk insieme all'ex sindaco Walter Veltroni. E' la prima volta che parla dal giorno dell'esonero, avvenuto il 18 settembre scorso. Tuttavia De Rossi ha parlato poco o nulla di Roma, anche perchè è ancora sotto contratto con il club. Daniele ha iniziato dal concetto di senso di appartenza: "Quando vince Sinner siamo contenti, se lo fa in Coppa Davis siamo ancora più felici. Per chi tifa avere qualcosa o qualcuno che li rappresenti è importante. Ci sono poi tanti atleti che rappresentano una squadra che li paga. Proseguire tutta la carriera in una squadra ha un sapore particolare, poi le tentazioni ci sono. Ogni tanto ci pensi e dici "vado a fare un giro da un'altra parte". Ma alla fine rimani per quel sentimento forte. Non è solo la vittoria a renderci felici, ma di sicuro ci rende credibili e belli alla gente. Il più grande allenatore degli ultimi anni è Gasperini, ha cambiato la vita a una città e a un club. Non ha solo vinto ma ha cambiato una dimensione. Però è diventato affascinante dopo aver vinto l'Europa League, a volte i trofei li perdi per un rigore o per un episodio e ti giudicano in maniera diversa. E questo è un peccato. Oggi chi lo critica ci pensa due volte, lo stesso è successo a Spalletti dopo lo scudetto di Napoli. Prima a molti sembravi scemo se dicevi che era un grande. Io non ho vinto tantissimo con la Roma, ma ho vinto un Mondiale. Non ricordo con più brividi quella vittoria piuttosto che la sconfitta agli Europei del 2012". Nella carrellata dei ricordi non poteva mancare Totti. "Il giocatore più affascinante con ho giocato? E' Francesco ci ho giocato tanti anni insieme ed era affascinante anche per i suoi compagni. Oltre a essere il più forte aveva questa luce, questo carisma silenzioso. Lui parlava coi gesti, c'era sempre quando eri in difficoltà. L'ho vissuto da tifoso e da compagno. Un avversario? Zidane, un uomo che sembrava cupo ma era bello a vedersi, fortissimo. Il più difficile da marcare è stato invece Seedorf. Era più intelligente, più tecnico e più forte fisicamente di me. Mi ha fatto venire qualche linea di febbre dopo che l'ho affrontato".
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De Rossi: “Alla Roma visto come amico da qualcuno. Totti il compagno più carismatico”
Poi un accenno alle sue ultime esperienze: "Le doti che servono per allenare una squadra? L'altruismo, lo era da calciatore e lo è anche da allenatore. Alla Spal ero visto come un oggetto non identificato, mi vedevano come ex giocatore e serviva la chiave giusta per essere credibile e dirgli che erano più importanti di me. Nella Roma sono entrato da bandiera, per molti ero un amico e anche lì bisognava essere vicino a loro ma non dargli troppo spazio. Bisogna saper gestire e accompagnare gli umori sia dello staff che della squadra. La parte mentale di gestione è importante, poi ovviamente ci vuole la conoscenza calcistica ma la gestione del gruppo è fondamentale".
L'intervento era iniziato parlando di massimi sistemi ""Se io fossi Infantino? Forse non ho i mezzi per trovare una soluzione e rendere il calcio più affascinante. Noi italiani ci siamo avvicinati al tennis per le vittorie ma anche per la faccia di chi sta ottenendo queste vittorie. Parliamo di facce pulite, di personaggi cristallini. Il calcio è tirato per la giacchetta da chi comanda e dal tifo. Quello che è buono per il mio club è più interessante anche dello spettacolo. Siamo tutti attratti dal tornaconto più che dallo spettacolo. Che sia economico per un dirigente o sportivo per un tifoso o un addetto ai lavori come me. La semplicità o normalità come la chiamava Spalletti è sottovalutata nel calcio. E' difficile giocare semplice, pensate a Rodri che vince il Pallone d'Oro perché gioca semplice. Per farlo però bisogna fare mille altri pensieri nel momento in cui non sei inquadrato, io giocavo in quella posizione. Oggi tutti tendono a strafare, lo facciamo anche noi coi nostri figli. Gli facciamo regali incredibili a Natale, poi magari li vediamo giocare con una rotellina. Tocca tornare alla normalità. Troppa tattica? Sì, e questo è grave. Chi allena i piccoli ha una responsabilità maggiore, ma tutti noi vogliamo emulare chi è geniale e bello agli occhi degli altri. Quindi pensiamo al fenomeno Barcellona, ma chi allena i bambini ha un compito fondamentale. Se gli levi la palla dai piedi per fargli fare tattiche o schemi sbagli. Il ragazzino deve pensare a dribblare o togliere il pallone dai piedi agli avversari"
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