Incassa, inarca, rialzati e sorridi. E se ricadi? Rifallo. Ritenta. Risorgi. Andrea Belotti l’ha fatto e oggi conta i pezzettini, quelli che per un certo Henry Ford contribuiscono a rendere le cose meno difficili. Li ha messi da parte nei giorni caldi di 13 mesi fa, quando sulla spiaggia di Mondello non guardava il mare per farsi un bagno, ma per attraversarlo in direzione Roma. In attesa di una telefonata o anche solo di una notifica verde sul cellulare. Rifiutando i soldi turchi e la Fiorentina, aspettando Mourinho abbracciato alla sua Giorgia. Li ha messi da parte nei giorni freddi, quelli in cui non arrivava il gol manco a pagarlo tra pali, botte, errori e occhi al cielo sognando di alzare la cresta e dedicarla ancora all’amico Juri che a 18 anni gli ha prestato il soprannome. Quelli scaldati dagli applausi di un Olimpico che ha sempre creduto in lui, che lo ha sempre amato. A volte senza senso visto lo score, o forse con quell’istinto che solo questa città sa trovare nel cuore di chi dà tutto e ripaga il giusto. Li ha messi da parte quest’estate quando nella spasmodica voglia di un altro attaccante veniva deriso, quasi umiliato, di sicuro non preso sul serio. “Ao, ma non è che finimo a gioca’ co Belotti?”. Via via sono passati diversi ologrammi: da Morata a Zapata passando per Beltran, Scamacca e nomi improponibili. Tutti si erano dimenticati che Andrea di gol in A ne aveva segnati 106. Anche noi, anche molti di voi.
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De Belotti Gallico: l’arte di rialzarsi senza rancore
Lui non ha fiatato, non ha mai smesso di sorridere e lottare, ha avuto Fede. Quella che non lo lascia dai tempi dell’oratorio, quella di una famiglia bellissima. La sua, e quella di Trigoria. Sudando in allenamento, sbattendosi come un ossesso nelle amichevoli giocate per intero, segnando due gol e mezzo alla prima giornata, fornendo due assist con l’Empoli e ricevendo l’abbraccio sincero di Lukaku che Andrea ha ricambiato strizzando quegli occhioni lucidi. Quei pezzettini sono diventati pezzi di vita. Una vita sportiva che poteva cambiare davvero il 31 maggio scorso. Quando quella spaccata in area, dopo il rigore non concesso, sembrava la scala verso il Paradiso. Ci ha messo la mano Bono, non ci ha messo gli occhi Taylor che nemmeno ha concesso l’angolo. Sarebbe valso una Europa League. Avrebbe cancellato giorni bastardi e portato Belotti sul trono dei miti della storia romanista. Quella sera Andrea ha pianto davvero, in pochi lo sanno. A parte i tifosi che lo hanno abbracciato sotto quel settore scosso da un dramma sportivo di rare proporzioni. Riparte oggi quella scala verso il Paradiso. Il primo scalino è lo Sheriff che gioca a Tiraspol, una di quelle mete da Galli cedroni in cerca di combattimento e non da belloni tatuati da discoteca. Il nostro di Gallo dovrebbe giocare titolare. Al fianco di Lukaku, dell’amico Dybala o da solo. Importa poco. Vuole puntare subito ad alzare la cresta per provare ad avere ancora l’occasione. Di una spaccata in area, magari senza Bono e senza Taylor. In quella Dublino verde come la speranza di Andrea che la Fede in sé stesso non l’ha persa mai e che ora inizia a ripagare quella dei tifosi romanisti. In fondo, proprio come diceva Ford, “niente è davvero difficile o impossibile se lo si divide in tanti piccoli pezzettini”.
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