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Dalle gaffe alla scelta di farlo fuori: ecco la storia burrascosa del rapporto Totti-Baldini

Francesco nel suo libro la chiama “la rivelazione dell’assassino”: è il consigliere di Pallotta a decidere dopo anni di un rapporto da sempre incrinato

Marco Prestisimone

Se non fossero i termini con cui Totti racconta dell’ultima volta che ha incontrato Franco Baldini, penseremmo all'epilogo di un libro di Agatha Christie: era a Londra - guarda caso la terra della regina del giallo - con Ilary e Pallotta per mettere a punto il suo contratto da dirigente quando il consulente del presidente gli rivela: “Sono stato io a farti ritirare”. È la pietra tombale sul loro rapporto e probabilmente la prima grande crepa del terremoto del suo addio alla Roma. La rivelazione dell’assassino, la chiamano l’ex numero 10 e Paolo Condò nella biografia “Un capitano”. Troppa l’ingerenza di Baldini nelle scelte di una Roma che Totti voleva sentire più sua e meno di altri e nella quale sperava di incidere. Ancora una volta.

PIGRO – È il 2011 quando Baldini fa ritorno nella capitale. La prima esperienza era stata positiva – nel 2001 era arrivato lo scudetto – prima delle divergenze con Rosella Sensi che avevano portato alle dimissioni. Ma Thomas DiBenedetto prima e Pallotta poi, lo scelgono come direttore generale per guidare il nuovo corso a stelle e strisce. L’inizio è però una gaffe. In un’intervista diventata poi famosissima definisce Totti “pigro”: “Ha ancora 4-5 anni di carriera se saprà guardare solo al calcio senza farsi carico di altro. Ma deve liberarsi della sua pigrizia e di chi usa il suo nome, anche a sua insaputa”. Un’uscita a vuoto che non faciliterà neanche il compito di Luis Enrique e della quale poi lo stesso Baldini ammetterà di essersi pentito. Era in realtà la prima goccia di quello che poi sarebbe diventato un temporale.

RIVELAZIONE – Chissà che non sia servito un ombrello a Francesco e Ilary quando a fine giugno 2017 sono stati a Londra per incontrare Pallotta e Baldini. Lì il retroscena raccontato da Totti nel suo libro e che aveva portato ad un addio del dirigente toscano poi mai diventato effettivo: “Anni fa dissi che volevo vederti - le parole del braccio destro del presidente - ma tutti gli allenatori mi chiedevano garanzia della tua presenza. Spalletti no, anzi. Ed è per questo che ho scelto lui”. Parole che scardinerebbero le radici più solide. Ma Totti credeva di poter essere ancora utile in altra veste alla Roma: “Voglio la carica di vicepresidente”. Come sarebbe andata se a quella richiesta fosse seguito un “sì” lo sapremo forse nel prossimo libro, o forse già nella conferenza di lunedì. Com'è andata in realtà lo sappiamo: due anni di apprendistato che gli avrebbero dovuto aprire le porte della stanza dei bottoni e che invece hanno solo ingigantito le crepe di un rapporto mai sbocciato. “Tu sei Totti, i tifosi credono a te. Noi dirigenti siamo visti come passacarte, la vera Roma sei tu. E come Totti potrai ricominciare a essere utile”. Due anni dopo il finale è ben diverso: Francesco - a dispetto delle frasi di circostanza di Pallotta - si è sentito inutile nelle scelte della società. Da quella di Petrachi a quella di Fonseca, Pallotta ha preferito sempre i consigli del fido Franco rispetto ai suoi. Uno schiaffo troppo grande alla dignità di un capitano. Inutile quindi la proposta di direttore tecnico arrivata da Fienga, l’unico che davvero ha provato a fargli cambiare idea. “Torneremo grandi insieme”, ha scritto Totti a De Rossi nella lettera d’addio. Più che un augurio è diventata una preghiera.