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Da “quasi” campione d’Italia a reietto. La strana storia romanista di Julio Sergio

(di Alessio Nardo) Se ne è andato umilmente, da gran signore, salutando e ringraziando tutti. Quasi volendo togliere il disturbo, avendo capito da tempo di non esser più nelle grazie di nessuno. Almeno a Trigoria, all’interno del quartier...

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(di Alessio Nardo) Se ne è andato umilmente, da gran signore, salutando e ringraziando tutti. Quasi volendo togliere il disturbo, avendo capito da tempo di non esser più nelle grazie di nessuno. Almeno a Trigoria, all'interno del quartier generale che l'ha ospitato per otto anni. Ossia, dall'estate 2006, quando l'allora ds giallorosso Daniele Pradé decise di pescarlo in Brasile, all'età di 28 anni, per farne una degna alternativa al titolare (e connazionale) Doni. Otto anni. Pieni di tante cose. Di gioie, di delusioni, di momenti intensi ma anche di equivoci ed incomprensibili fasi di stallo. Spalletti non lo vedeva. Per lui Julio era il terzo. Anzi, il miglior terzo portiere del mondo. Definizione quasi leggendaria che il ragazzo si è portato dietro per anni. Davanti a lui ci sono stati Doni, Curci e persino Artur, fallimento grottesco della stagione 2008-2009.

Eppure, fu proprio Spalletti a lanciare Julio Sergio. Con Doni fuori per infortunio ed Artur ormai impresentabile all'Olimpico dopo una serie di prestazioni altamente negative, il 30 agosto del 2009 scoccò l'ora del terzo dei terzi. Contro la Juve di Ferrara, Diego e Felipe Melo. Risultato? 1-3. Sconfitta cocente, resa meno amara nel punteggio dalle formidabili parate di Julio, finalmente protagonista. Fu l'inizio di un qualcosa d'inaspettato, d'incredibile, d'imprevedibile. Spalletti si dimise, arrivò Ranieri e via alla favola. Gli otto mesi della rinascita, della rincorsa, del sogno. Roma travolgente ed inarrestabile con Julio guardiano perfetto. Prestazioni eccellenti, miracoli indimenticabili, gare spesso decise dalle prodezze del numero 27. Come non citare i due derby, d'andata e di ritorno, con Mauri e Floccari (dagli undici metri) ipnotizzati dalla vena irresistibile dell'estremo difensore brasiliano.

Una favola, già. Ahnoi, senza il lieto fine. I due gol di Pazzini del 25 aprile 2010 spezzarono il sogno e consegnarono, di fatto, lo scudetto all'Inter di Mourinho. Lacrime e rimpianti, ma anche la viva consolazione per aver trovato un signor portiere, premiato con il rinnovo contrattuale sino al 2014 e titolare anche nella stagione successiva. Non con gli stessi risultati. Il pianto a dirotto di Brescia? L'emblema di un'intera annata. Roma con il freno a mano tirato, piena di guai e dissidi interni, guidata da un Ranieri nervoso e governata da equivoci tattici e tecnici. Anno complicato per tutti, anche per Julio. Pagò il tecnico (dimessosi dopo il goffo rovescio di Genova, da 0-3 a 4-3) e finì per pagare anche il portiere. Semplice conseguenza della restaurazione voluta da Montella: ripristino del 4-2-3-1 e dei titolari dell'epopea spallettiana. Tra essi, anche l'ormai detestato (dai tifosi) Doni, titolare sino al termine del campionato, chiuso dalla Roma al sesto posto in classifica.

Poi, la rivoluzione. Gli addii di Rosella Sensi, Pradé e soci e l'arrivo degli americani, di Sabatini, di Baldini. Oltre ad un consistente gruzzolo di nuovi giocatori, con il sacrificio inevitabile di molti senatori. Via, tra gli altri, Mexés, Riise, Brighi, Doni, Menez, Vucinic. E anche Julio Sergio, sbolognato in prestito al Lecce di Di Francesco. Sole dieci presenze stagionali, la rottura dei legamenti del ginocchio e l'amara retrocessione in Serie B. A fine anno, riecco la Roma. Almeno in teoria, almeno da contratto. Ma Zeman e la società lo sbattono fuori rosa. Lui vola in Brasile, tenta di trovarsi un ingaggio prima di essere reintegrato, un po' sorpresa, nel mese di gennaio. L'ex guardiano dei miracoli torna ad allenarsi regolarmente, a luglio si presenta in ritiro a Riscone di Brunico agli ordini di Rudi Garcia. Solo un lampo, giusto per i saluti. A pochi giorni dal 2014 ecco la rescissione, la fine annunciata di un rapporto ormai perduto. Solo tre anni e mezzo dopo uno scudetto sfiorato da titolare. Con il rimpianto aggiuntivo nell'aver visto la propria strada intralciata da colleghi improbabili (Goicoechea), oggetti misteriosi (Skorupski) ed altri che a Roma hanno fragorosamente deluso (Stekelenburg e Lobont). Così è il calcio, così è la vita. Ed è bene tenersi dentro i ricordi migliori. Obrigado e boa sorte, Julio.