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Getty Images
Cinquecentonovantotto chilometri, su per giù, dividono Bergamo da Roma, poco più di sei ore in macchina e quasi cinque se si usa il treno. Dalla grandissima vittoria, invece, della squadra di José Mourinho, al Gewiss Stadium, contro l’Atalanta, sono passati 75 giorni, e sabato saranno 77.
Sembrava la svolta. Per cattiveria, per occasioni che poi sono diventate gol - quattro, due di Tammy Abraham, e anche il primo di Nicolò Zaniolo in stagione -, per la mentalità, per la Champions League. E invece no, perché da quel pomeriggio prenatalizio - che era stato animato anche dal terremoto nella zona del bergamasco -, la Roma ha raccolto meno di quanto ci si sarebbe aspettati. Ovvero tredici punti in nove partite con Sampdoria, Milan, Juventus, Cagliari, Empoli, Genoa, Sassuolo, Verona e Spezia. In pratica, meno della metà del bottino pieno, che relegano i giallorossi in un limbo che ora dice Conference League, con sei lunghezze di distanza da quel quarto posto, degli uomini di Massimiliano Allegri, che era l’obiettivo stagionale a inizio campionato.
Non è tutto perso, ci mancherebbe. E da quel 18 dicembre si dovrebbe ripartire, proprio all’Olimpico, il 5 marzo. E proprio contro quell’undici di Gian Piero Gasperini, che dal 2014 è l’incubo della Roma in casa. Perché sì, il treno per l’Europa che conta ancora non è partito. Innanzitutto ci saranno tutti, tranne Leonardo Spinazzola e Felix Afena-Gyan, mentre loro, i nerazzurri, potrebbero addirittura non contare su Ruslan Malinovskyi. E sicuramente non hanno Duvan Zapata. E poi sarebbe un segnale, in uno scontro diretto, prima di un tour de force da dentro o fuori, con il derby contro la Lazio a chiudere ulteriormente un cerchio. E per capire di che pasta è fatta la Roma quest’anno.
Mariacristina Ponti
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