(di Roberto Renga - RadioRadio Blog) Di Antonio Conte (allenatore) mi avevano parlato bene, ma non per questo mi fidavo. Vediamolo alla Juve, pensavo. Quando parlava di quattro attaccanti mi stuzzicava.
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Conte una rivelazione. Una badante per Luis
(di Roberto Renga – RadioRadio Blog) Di Antonio Conte (allenatore) mi avevano parlato bene, ma non per questo mi fidavo. Vediamolo alla Juve, pensavo. Quando parlava di quattro attaccanti mi stuzzicava.
E lo seguii attentamente. Le cose non andavano: alette leggere, Pirlo abbandonato e già una difesa non ballerina, ma di sicuro tutt’altro che solida. E qui Conte mi (e vi, immagino) sorpreso. Ha cambiato in corsa, risolvendo tutti i problemi trovati lungo la strada. La squadra, pur partita in un modo e arrivata in un altro, lo ha seguito e capito subito. E ora pratica il calcio che vuole il tecnico e che ha portato la Juve in testa alla classifica. Conte gioca all’attacco. Fa calcio veloce e propositivo. Lascia spazi in avanti nei quali s’infilano a turno Pepe e Marchisio. Vucinic fa il trequartista a sinistra e Matri il centravanti d’area e di movimento, Pirlo ha il supporto che gli serve.
Della corsa e dell’agonismo sapete. La difesa non è irreprensibile, ma a un tecnico si può chiede lavoro, non i miracoli. Non so se la Juve vincerà lo scudetto. Ma una cosa è già sicura: Conte, il suo (scudetto), lo ha già vinto. Mi capitò il quindici maggio di scrivere un pezzo sul Messaggero, indicando quali, secondo me, potevano essere i requisiti giusti del nuovo allenatore della Roma: spagnolo, anni quaranta, buon passato da calciatore, possibilmente ex attaccante, conoscenza del calcio europeo e delle categoria inferiori e gran voglia di confermarsi in Italia. Sembra l’identikit di Luis Enrique. In realtà per me Luis era il terzo della lista. Ma, confesso, avevo preso in considerazione anche il suo nome. Pentito adesso? Sì e no. Sono ancora convinto che abbia tutto per fare bene. Mi piace anche il suo carattere e la sua impermeabilità alle critiche esterne. Mi sta bene che vada avanti per la sua strada, quella del gioco. Capisco meno, per non dire poco o niente, le sue formazioni. Quando cambia ruolo ai giocatori si comporta come il tecnico dei “giovanissimi”: Viviani è un attaccante, ma lo provo a centrocampo, vediamo come va.
Questi della Roma sono invece giocatori maturi, che possono piacergli o meno, ma con le loro caratteristiche che ormai non si cambiano. Capisco che gli sia stato detto di puntare sui giovani. Ma lo poteva fare in modo graduale. Se hai Totti, lo fai giocare. Se Totti è centravanti, in quel ruolo lo utilizzi. Poi, una volta raggiunti risultati, puoi anche dare spazio alle tue idee. Chiaro che i suggerimenti sono partiti dall’alto, ma un tecnico deve anche essere furbo e capire che, intanto, chi rischia è lui. A Trigoria ha trovato anziani bravi, ma non malleabili e giovani malleabili e non ancora bravi. Poteva e doveva, secondo me, mediare. E puntare sulla Primavera, più che su vecchie conoscenze spagnole.
Tutta colpa sua, allora? No. La società doveva stargli accanto e qualcuno aveva l’obbligo di spiegargli che cosa sono la Roma e il calcio italiano.
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