Forzaroma.info
I migliori video scelti dal nostro canale

news as roma

Castan e il dramma del tumore: “Non mi reggevo in piedi. Ho pensato di morire”

Castan e il dramma del tumore: “Non mi reggevo in piedi. Ho pensato di morire” - immagine 1
Le sue parole: "Mio nonno era morto per un cancro al cervello, 'Sarà così anche per me'. Ho fatto di tutto per tornare al mio livello. Tutto. Non è stato possibile. Ma sono ancora qui"
Redazione

Leandro Castan è tornato a parlare del dramma vissuto nel 2014. Al brasiliano era stato diagnosticato un cavernoma cerebrale che ha poi compromesso la sua carriera. Queste le sue parole ai microfoni di Gianlucadimarzio.com: "Maicon mi chiese 'Tutto bene?'. Durante il riscaldamento sentii un fastidio al flessore e Rudi Garcia mi cambiò all’intervallo. Torno a casa e inizio a non stare bene. Passa la notte, mi sveglio. La mia testa gira, gira forte. Cosa mi sta succedendo? Sto morendo? Andai in ospedale. Mi fecero una risonanza magnetica. Guardai il dottore della Roma. Era preoccupato. 'Cosa mi avete trovato?'. 'Niente, vai a casa. Ti chiamo dopo'. 'Dimmi cos’ho. Ero nervoso. 'C’è qualcosa al cervello'. Mentre stavo tornando, chiamarono per dirmi di tornare in ospedale. Non capivo più nulla. Mai avrei pensato di poter vivere qualcosa di simile. I primi 15 giorni furono terribili. Non mi reggevo in piedi, vomitavo molto, persi 20 kg. Ero senza forze. All’inizio la Roma scelse di nascondere tutto. Decisi di isolarmi. Tolsi i social. Ma un giorno guardai il telefono. Su Twitter mi uscì un articolo: 'Leandro Castan ha un tumore, potrebbe morire'. La paura mi invase. Io non sapevo ancora cosa avessi. Nessuno mi aveva detto niente. Né il club, né i dottori. Nessuno. 'Stai calmo', mi ripetevano. Poi quel pensiero: mio nonno era morto per un cancro al cervello. 'Sarà così anche per me'. 

Castan e il dramma del tumore: “Non mi reggevo in piedi. Ho pensato di morire”- immagine 2

Il brasiliano ha poi aggiunto: "Passano settimane. 'Hai un cavernoma cerebrale. Non potrai più giocare a calcio'. Buio. 'È la fine'. La testa va, non si ferma. Mi chiamarono in clinica e mi dissero tutto. 'Al terzo mese della gravidanza il tuo cervello si è sviluppato in modo non corretto. Se prendi una botta durante una partita ti potrebbe partire un’emorragia cerebrale e potresti morire. O smetti o ti operi'. Mi avrebbero dovuto aprire la testa. Un intervento molto pericoloso. 'No, non lo faccio'. Dentro di me c’era la convinzione di non operarmi e di dire addio al calcio. Poi un giorno, guardando una partita, cambiò tutto. 'Non posso smettere'. Chiamai mia moglie per dirglielo. Poi sentii il dottore. 'Va bene Leo, passa il Natale con la famiglia e poi ti operiamo'. 'No dottore, devo farlo subito'. Dopo una settimana feci l’intervento. Ero uno dei difensori più forti della Serie A. Volevo vincere il campionato con la Roma e conquistare la Nazionale. In poco tempo mi ritrovai su un letto d’ospedale con un tumore in testa. Dovevo imparare a vivere di nuovo. Vivere una vita diversa e combattere con un malessere che piano piano nasceva in me. Ho fatto di tutto per tornare al mio livello. Tutto. Non è stato possibile. Ma sono ancora qui".