Carles Perez, attaccante spagnolo della Roma, ha parlato in una lunga intervista ai canali ufficiali del club giallorosso. Queste le sue dichiarazioni:
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Carles Perez: “Sono a Roma grazie a Fonseca. Giocare senza tifosi non sarà la stessa cosa”
Queste le parole dello spagnolo: ''Ho avuto in questo periodo la fiducia totale del club. I compagni mi hanno aiutato molto''
Chi era Carles da bambino?
Ero un bambino molto allegro e vivace. Sin da quando ho ricordi volevo sempre stare con la palla tra le mani e soprattutto tra i piedi, quando non ce l’avevo mi lamentavo. Passavo tanto tempo a giocarci con i miei amici, sempre da attaccante, non mi piaceva quando toccava a me andare in porta. Ricordo anche per me c’era un solo regalo che desideravo ricevere in ogni occasione: un palla, poi un pallone o qualsiasi cosa che avesse a che fare con il calcio.
Qual è il tuo primo ricordo legato al calcio?
Il primo ricordo distinto è la partita Real Madrid-Barcellona 2-6 della Liga del 2009. L’ho vista insieme alla mia famiglia. Vedevo sempre le partite con loro. Io da piccolo non mi ritenevo tifoso di una sola squadra, ma ovviamente dato che tutti i miei familiari erano del Barcellona, seguivo anche io il club.
E il tuo idolo chi era?
Leo.
Le partite della nazionale spagnola agli Europei e ai Mondiali le seguivi?
Devo essere sincero: io ho sempre amato giocare a calcio più che guardarlo in TV. Ovviamente seguivo le grandi partite ma non le guardavo tutte. Anche delle competizioni delle nazionali iniziavo a guardare tutte le partite dalla fase a eliminazione diretta.
Come spagnolo da piccolo non ti è andata male visti i due Europei vinti oltre al Mondiale…
Effettivamente sì, abbiamo vinto tantissimo soprattutto giocando un calcio spettacolare.
A quanti anni hai iniziato a giocare a giocare in una squadra?
A 5 anni ho iniziato con la scuola calcio poi a 7 sono andato nella prima vera squadra: il Damm. Non è al livello di Espanyol e Barcellona ma ha una buona tradizione a livello giovanile. Sono rimasto al Damm per tre anni e poi sono stato preso dall’Espanyol.
Passare all’Espanyol suona già come un bel passo in avanti, ricordi le emozioni che hai provato?
Beh sì, è stato un passaggio che mi ha dato molta forza e fiducia per andare avanti. Il fatto che una delle due migliori squadre della città e della regione mi avesse preso mi ha dato molta soddisfazione. Con loro sono rimasto per 4 anni.
Già sognavi di diventare un calciatore professionista a quell'età?
Assolutamente sì. Avevo le idee molto chiare da subito, anche quando ero al Damm. Non avevo la certezza di farcela ma certamente il mio obiettivo era quello di diventare un calciatore. Anche riuscire a entrare nel Barcellona era un traguardo a cui puntavo e ci sono riuscito all’età d 14 anni.
Che effetto ti ha fatto?
La mia reazione immediata alla notizia che mi avevano preso è stata di incredulità. È stato subito dopo una partita giocata contro di loro con la maglia dell’Espanyol in cui abbiamo vinto per 3-1 con una mia doppietta. Mi seguivano già da tempo e hanno parlato con mio padre fino a perfezionare il passaggio. Sono entrato nella squadra Cadete B [U15] e dopo tre mesi mi hanno ammesso alla categoria superiore, la Cadete A [U16].
In quel periodo abitavi ancora con la tua famiglia o vivevi in un convitto del club?
No, continuavo ad abitare in casa con la mia famiglia. Mio padre mi accompagnava agli allenamenti e poi mi riportava a casa. Il viaggio era di circa 35 minuti da casa mia. Poi quando ho preso la patente ho iniziato ad andare da solo e mi sono trasferito in un appartamento a Barcellona.
Quali sono state le persone più importanti per la tua crescita e la tua carriera?
Sicuramente è stato fondamentale l’appoggio della mia famiglia in tutta la mia crescita, mi hanno sempre sostenuto dandomi tanta fiducia.
E il consiglio migliore da chi lo hai ricevuto?
Per quanto riguarda la carriera i consigli migliori non possono che arrivare da calciatori esperti ed affermati. Nel mio caso scelgo quello che mi ha dato Xavi: nel calcio tutto dipende da noi stessi, nessuno ti regala niente, ogni traguardo va conquistato contando sulle proprie forze. Anche Leo Messi ha aiutato me e tanti altri giovani con i suoi consigli, ma le parole che mi hanno segnato di più sono state quelle di Xavi.
Com’è stato allenarsi per la prima volta in prima squadra con il Barcellona?
Eh, ricordo benissimo che ero molto nervoso, anche se si trattava di una sessione nel giorno successivo a una partita, quindi i titolari facevano scarico mentre noi giovani giocavamo con chi non era sceso in campo. Nonostante questo la pressione era tanta, c’era mister Ernesto Valverde che ti guardava e anche Leo Messi e altri fenomeni a bordo campo che assistevano alla partitella, era come essere sempre sotto esame.
Nelle giovanili hai affrontato la Roma nella Youth League del 2015-16: che effetto ti fa ripensarci oggi?
È stato un caso del destino. Quando sono arrivato alla Roma mi hanno mostrato le foto di quelle partite. Era la fase a gironi e pareggiammo 0-0 a Trigoria e 3-3 a Barcellona. Le giocai entrambe, la Roma aveva davvero un’ottima squadra.
Qual è il tuo ricordo dell’esordio in prima squadra?
La mia prima partita è stata all’ultima giornata della Liga 2018-19 in casa dell’Eibar. Sono entrato al 70’, ma quello che considero il mio vero debutto è stato al Camp Nou nella seconda giornata di questo campionato: Barcellona-Betis. Sono partito titolare, abbiamo vinto 5-2 e io ho segnato il gol del momentaneo 3-1. È stata un’emozione indimenticabile.
E dell’esordio in Champions League con gol in casa dell’Inter che ricordo hai?
Bello, ho segnato in uno stadio leggendario come San Siro, contro una grande squadra che ricordavo nelle sfide viste in tv da bambino con mio padre. Ricordo di quando da piccolo gli dicevo che mi sarebbe piaciuto tantissimo giocare partite di quel livello. È stata la realizzazione di un sogno.
A Roma sei arrivato a gennaio: quali sono le tue sensazioni di questa esperienza finora?
Ho un buon ricordo dei primi mesi fino allo stop dovuto al Coronavirus. Come ho sempre detto sono molto contento di essere arrivato qui e del sostegno ricevuto da parte dello staff, dei compagni e di tutte le persone che lavorano nella Roma. Il loro supporto mi ha dato molta fiducia. È stato un peccato non aver potuto giocare per tutto questo tempo ma siamo pronti a ripartire.
Come ti trovi con Paulo Fonseca?
Se sono qui è anche grazie alla fiducia che mi ha dimostrato sin dalla prima volta che ci siamo sentiti. È una persona con le idee molto chiare, ha grande conoscenza calcistica e gli piace giocare bene con uno stile che a me piace, che punta a mantenere il controllo del gioco e del pallone piuttosto che a inseguire l’avversario.
Quanto ti ha aiutato per l’ambientamento arrivare insieme a un altro spagnolo come Gonzalo Villar?
Io e Gonzalo ci siamo conosciuti nell’Under 21. È chiaro che quando si va a fare un’esperienza all’estero è importante avere l’appoggio di un connazionale. Ci stiamo aiutando a vicenda, fortunatamente l’italiano non è così differente dallo spagnolo, quindi in questo siamo facilitati. Anche gli altri compagni ci hanno aiutato molto mettendoci a nostro agio da subito.
Il tuo primo gol è arrivato contro il Gent nell’esordio in Europa League…
Sono stato molto felice di segnare ed è stato ancora più bello farlo in casa e festeggiare davanti ai nostri tifosi. In particolare sentire lo Stadio Olimpico gridare il mio nome dopo il gol mi ha riempito di orgoglio e soddisfazione, quasi non me lo aspettavo. È un ricordo che conserverò per sempre.
Hai avuto modo di apprezzare la città? Almeno fino a quando c’è stata la possibilità di farlo…
È superfluo dire che Roma è una città meravigliosa, senza eguali, ricca di storia. Non ero mai stato a Roma da turista e nel poco tempo che ho avuto a disposizione appena arrivato ho visitato il Colosseo, la Fontana di Trevi e altre mete tipiche insieme alla mia famiglia e ai miei amici. Anche la gente è molto gentile e disponibile. Peccato che poi sia arrivato il Coronavirus, ma speriamo di potercelo lasciare alle spalle al più presto.
Come hai vissuto il periodo di lockdown?
Non è stato facile anche perché ero qui da solo. Oltre al campo e alla squadra mi mancava molto la mia famiglia. In generale l’insegnamento che possiamo trarre da questo periodo è di tornare ad apprezzare cose che diamo per scontate come poter vedere i propri familiari, i propri amici, poterli abbracciare e baciare. Dovendo passare tanto tempo a casa ho colto l’occasione per studiare un po’, ho giocato molto alla Playstation con gli amici a Call of Duty e ho guardato qualche Serie TV come la Casa di Carta ed Elite.
Durante l’emergenza hai promosso una raccolta fondi in favore dell’ospedale della tua città. Com’era lì la situazione legata al Coronavirus?
Si tratta dell’ospedale al quale mi sono sempre rivolto per ogni necessità da piccolo quindi ho cercato di dare il mio contributo alla struttura nell’acquisizione di tutti i materiali e i presidi necessari per affrontare l’emergenza. Mi è sembrata la cosa più naturale da fare per ricambiare l’aiuto che io e i miei concittadini abbiamo ricevuto nelle nostre vite. L’impatto del Covid-19 in Spagna è stato simile a quello che c’è stato in Italia, gradualmente le cose stanno tornando alla normalità.
Che effetto ti ha fatto tornare ad allenarti a Trigoria con i compagni?
È stata una sensazione di grande sollievo poter indossare di nuovo gli scarpini e correre sul un campo dopo tanto tempo passato in casa. È tutto quello che un calciatore vuole: giocare a pallone. È stato bello tornare a lavorare con i compagni e con lo staff.
Il 24 giugno la Roma tornerà a giocare contro la Sampdoria: quanto ti mancano le partite?
Ho tantissima voglia di tornare in campo per una partita, di indossare la maglia della Roma di cercare di fare il mio meglio. Anche se giocare a calcio senza i tifosi non sarà la stessa cosa faremo tutto il possibile per cercare di divertire e per dare soddisfazione ai tifosi che ci seguiranno in TV.
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