Vincent Candela, ex difensore della Roma tra il 1997 e il 2005 e Campione del Mondo e d'Europa con la Francia nel 1998 e nel 2000, ha rilasciato un'intervista ai microfoni di Radio TV Serie A nella rubrica 'Storie di Serie A'. Queste, dunque, le parole dell'ex terzino giallorosso, Campione d'Italia nel 2001, che ha ripercorso la propria carriera parlando anche dell'attualità:


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Candela: “Lavoro straordinario di Ranieri, ma non un miracolo. Champions difficile”
Come ti ha trovato la Roma? "Avevamo giocato in Europa League contro l'Inter, avevo giocato le Olimpiadi ad Atlanta con la Francia nel 1996 e poi ho esordito nel '97. Già lì la Roma mi aveva visto. E' stata una decisione difficile, ma mi è andata bene. Avevo due squadre importanti in Francia che mi volevano: il Marsiglia, la mia squadra del cuore, e il PSG, che aveva alti e bassi. Poi c'era la Roma, in Serie A, che è secondo me il campionato più bello e affascinante, dove c'erano tutti i campioni del mondo. Senza esitare sono venuto alla Roma".
L'allenatore che ti plasma è Zeman. La Roma si stava formando verso quello che sarebbe stato il Scudetto? "Sono arrivato con Bianchi ma abbiamo fatto poco. Con Zeman ci sono stati due anni piacevoli ma difficili. Mi ha insegnato tanto sulle ripetute, sul lavoro senza pallone, sugli schemi. Ogni giorno quasi troppi schemi, spesso litigavamo infatti. Ma Zeman fa giocare le squadre che è una meraviglia, infatti siamo arrivati una volta terzi e una volta quarti. Abbiamo mancato per poco la Coppa dei Campioni. E' stato molto bello. Mi ha insegnato molto sia tatticamente sia sul modo di allenarmi.
Lo stare in campo. "Sì, anche se quello secondo me è una delle mie parti migliori. Io corro poco, ho un buon posizionamento perché non sono tanto veloce, ma il posizionamento in campo fa parte di me. Zeman su questo aspetto mi ha dato tanto".
Poi è arrivato Capello: come ha cambiato il vostro modo di lavorare e la vostra mentalità? "Capello è stato il mio allenatore, ho fatto 5 anni. Insieme al Presidente si è portato la Roma sulle spalle, non era facile. Il primo anno vince la Lazio, poi arrivano Batistuta che era uno dei centravanti più forti e Samuel. Poi c'erano già Cafu, Aldair, Montella, Totti. La squadra c'era, ma all'epoca c'erano tantissime squadre forti. Capello personalmente mi ha dato molta fiducia, era un sergente ma sapeva come prendermi e lasciarmi dove potevo arrivare. Mi è piaciuto, davo il 300% con lui".
La prima cosa che ti ha colpito di Totti? "Quello che fa la differenza, la sua velocità di pensiero. Neanche arrivava la palla e già sapeva dove metterla anche quando nessuno se lo aspettava. La sua velocità di pensiero è impressionante. Tempo e spazio fanno la differenza, spesso anche se era di spalle sapeva dove mettere la palla e, se gliela davi sporca, lui te la ridava pulita".
Che dote avevate nell'anno dello Scudetto? "La consapevolezza di essere forti. Spesso siamo andati sotto di un gol, ma sapevamo che avremmo vinto quelle partite. Il 2-0 a Torino contro la Juve dopo 5' è stato decisivo, anche lì non abbiamo mollato ma siamo rimasti in campo anche con la testa e abbiamo finito 2-2: era molto importante per noi. Eravamo un gruppo quasi perfetto, c’erano i titolari e poi c'era la panchina che era al nostro servizio. Noi eravamo insieme a loro, in campo e fuori: c'era un gruppo spettacolare".
Che ricordo ha di Sensi? "Era romanista, un grande appassionato e innamorato di questa società e di questa squadra. Gli ho sempre detto che aveva fatto bene a spendere tanti soldi. Ne ha persi tanti, ma ha vinto a Roma e quello era uno dei suoi sogni. Era un grande uomo e un grande imprenditore, questo magari gli mancava. Gli ho sempre detto che aveva fatto bene a spendere tanti soldi per Batistuta. A me hanno pagato meno, ma mi hanno dato tanto".
Potevate vincere di più all'epoca 0 l'ambiente ha rappresentato un freno? "Ho sempre pensato che l’ambiente giallorosso fosse bellissimo, avere 70-80.000 persone allo stadio era meraviglioso. C'era qualche contestazione, ma fa parte del calcio e mi piaceva perché ti davano qualche segnale. Qualche fischio fa sempre bene. Non penso che abbiamo perso per quello. L'anno dopo ci mancava Batistuta, c'erano tante squadre forti ma il nostro gruppo era meno perfetto ed erano andate via tante persone che erano in panchina".
Il momento di lasciare Roma non è stato semplice, vero? "Non è stato semplice, erano passati quasi nove anni e Roma mi aveva dato tanto. Era un momento un po' particolare, ma era il momento di andar via. A dicembre ho deciso con Baldini di lasciare lo stipendio e andare via gratis fuori, al Bolton. E' una delle poche cose per cui ho un po' di rimpianto, forse avrei dovuto pensarci un po' di più. Magari avrei dovuto riflettere e pensarci di più".
Sull'essere rimasto a Roma. "Ci tengo molto alle mie radici francesi, ma Roma mi ha dato tanto e le mie quattro figlie sono nate all'Isola Tiberina. Forse per ricompensare quello che mi ha dato Roma, dove sono cresciuto come uomo. La gente mi ha fatto e mi fa sentire importante".
Su Ranieri e su Angelino. "Da quando è arrivato ha fatto quasi un filotto, sono 16-17 partite che non perde. Ora stiamo lottando per l’Europa quando prima dopo Juric non dico che stessimo per retrocedere ma... Non credo ai miracoli né alla fortuna. La squadra non era da Scudetto ma da 4-5° posto e se la può giocare con tutti. Si può sempre fare di più. Ranieri ha svolto un lavoro straordinario, ma non è un miracolo: la squadra c’è, ci sono giocatori interessanti. Angelino mi piace perché tecnicamente è bravo, va a cercare il dribbling, il cross giusto, non ha paura di rischiare. Lui è esploso, è un giocatore veramente importante per la Roma".
La Champions? "Difficile, contro le big abbiamo vinto solo contro la Lazio all'andata 2-0. Abbiamo fatto fatica con le squadre davanti. Ora ci sono Inter e Fiorentina, che non è facile, ma è giusto fare il massimo per provarci, anche per l'Europa League che sarebbe importante. Se andasse tutto male potremmo restare fuori anche dall'Europa League. Questo è il bello del calcio".
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