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Bove: “Che bello ripagare la fiducia di Mourinho. Guai ad accontentarsi ora”

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Il centrocampista, ai microfoni di Dazn, ha aggiunto: "E' il mio dodicesimo anno in giallorosso ma non ci si abitua mai a questi tifosi e a questo ambiente. Il mister è un maestro a trasmetterci la giusta cattiveria e personalità"
Redazione

Edoardo Bove è ormai diventato molto più di una semplice riserva. Il centrocampista romano, elogiato pubblicamente da Mourinho anche a Praga, è diventato uno dei punti fermi della squadra giallorossa e oggi ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Dazn. Ecco le sue parole

Sei stanco?

“Allenamento bello intenso stamattina, è appena finito e ho ancora un po’ di scorie. ma sono contento di essere qui e passare un po’ di tempo con voi”.

Mourinho era carico?

“Sì, stava bene, era carico come sempre”.

Come mai sei cresciuto nella Roma? In famiglia siete tutti romanisti?

“Sì, in famiglia mi hanno trasmesso questa passione. Mio papà ha origini napoletane e mamma tedesca. Sono metà e metà. Ho preso la parte ‘severa’ da mamma e la parte ‘giocherellona’ da papà. Sono un misto, la passione per la Roma nasce da bambino. Sono a Trigoria da quando avevo 10 anni, sono nel 12esimo anno e sono stato più tempo qui che a casa. Mano mano che cresci capisci anche l’importanza del percorso e di dove sei, è quella la cosa bella. Magari si pensa che dopo 12 anni sia un’abitudine, invece ogni anno è sempre meglio. Spero di continuare così”.

L’amore per la Roma in questi anni ha fatto la differenza.

“Sì, sono tutti piccoli step di una carriera e di un percorso. Ognuno ha il suo. Io sono stato fortunato e bravo a sfruttare certe occasioni e rimanere qui in tutti questi anni. Ora sono contento di quello che sto facendo, è un momento molto bello perché ti proietti sempre al futuro. Essendo giovane ho sempre gli occhi per la partita successiva, noto grandi miglioramenti e sono sempre arrivo ed energico, questo mi aiuta molto”.

Mourinho sottolinea le responsabilità che ti sei preso in questi mesi.

“Nel momento in cui un allenatore ti dà tanta fiducia, ripagarla è ancora più bello. Il mister è un maestro in quello che ci trasmette in campo, la mentalità e la cattiveria che dobbiamo avere in campo e in allenamento allo stesso modo. Il fatto che mi ha dato questa fiducia e responsabilità mi ha aiutato a crescere. Una cosa è giocare senza pressione, come giovane che inizia, un’altra è confermarsi partita dopo partita che è la cosa più difficile da fare. In generale la carriera di un calciatore porta i ragazzi giovani a crescere da subito. Un ragazzo di 18 anni si trova in uno spogliatoio con uomini con figli, gli argomenti e le responsabilità sono diverse, e cresci sotto altri punti di vista. È come se fosse elevato all’ennesima potenza. Anche la maturazione che vedi in te stesso è elevata, vedi miglioramenti. Se non stai sul pezzo rischi di accontentarti, ma è bello essere così al centro di un progetto”.

Il fatto di essere arrivato già così in alto ti fa mancare qualcosa magari a livello personale?

“Sì e no. I sacrifici ci sono, è vero. Magari certe cose un ragazzo di 18 anni che si affaccia a una carriera professionista non le può fare, rispetto a tutti gli altri. Ad esempio l’istruzione. Non tutti possono andare a scuola per tutti e cinque gli anni, senza spostarti nel convitto della squadra. La quotidianità con i compagni la mattina la perdi, è una parte importante perché cresci al liceo. Io per fortuna sto proseguendo gli studi universitari e cerco anche di svagarmi un po’ con gli studi, perché se pensi 365 giorni all’anno al calcio diventa anche difficile da gestire. Forse questo è da gestire, la voglia di migliorarsi ogni giorno ma anche la gestione dei tempi. Sei giovane, ti senti invincibile ma devi stare attento a gestire il tuo corpo. Sono considerazioni da fare quanto intraprendi una carriera. Sono scelte dettate, per me, dalla passione perché è la cosa che mi piace fare di più al mondo. Quando non avrò più voglia di andare al campo vorrà dire che c’è qualcosa che non va e che va cambiato. Io studio Economia e Management. Mi è capitato che ragazzi della Primavera mi chiedevano cose dell’università. È bello anche essere da esempio, che loro pensino che se lo faccio io possono farlo anche loro. È bello se inizia questa catena. La famiglia mi ha trasmesso questa cosa dello studio, con la mamma tedesca non scappi. Ma anche lì è una questione di equilibrio, fosse stato tedesco anche papà avrei studiato e basta. Papà ha una grandissima passione per il calcio. Lui è tifoso mio. Se il suo cuore batte per il Napoli? No, impossibile (ride, ndr)”.

Nella Roma sono passati tanti campioni: ce n’è uno che è passato qui e pensi che avresti voluto vivere lo spogliatoio con lui?

“Calcisticamente il giocatore della Roma che ricordo benissimo è Nainggolan, mi piace tantissimo come giocatore, uno dei miei preferiti. Per non essere banale, perché altrimenti è impossibile non rispondere Totti e De Rossi”.

Si fa mai l’abitudine a entrare in quello stadio?

“No, lo dicevo all’inizio. Man mano che cresci ti rendi conto di tutto, anche di quello che c’è fuori, dei tifosi, di chi lavora qui a Trigoria dalla portineria ai magazzinieri. Magari da piccolo neanche te ne rendi conto. Mentre cresci capisci tante cose, l’emozione nel vestire la maglia cresce, perché acquisti consapevolezza di dove sei, di quello che hai fatto e quello che vuoi fare. Anche perché eri al posto di tanti bambini ed essendo stato un bambino che è cresciuto sai cosa significa”.

A volte ti capita anche di giocare a tennis?

“L’ultima volta, con la pausa a giugno, ho giocato con un amico, Flavio Cobolli che ha finito le finals della NextGen. Mi ha già promesso che spingerà molto, gli metto pressione (ride, ndr)”.

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