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Beccaccioli: “Di Francesco legge le partite in maniera incredibile. Io aiuto lui e i giocatori”

Le parole del video analyst giallorosso: "In primis il mio impegno è mettere a disposizione del mister, nella maniera più sintetica possibile, la gara giocata così che lui la possa analizzare, vedere ciò che andato bene o meno bene"

Redazione

Una vita nella Roma, prima a inseguire il sogno di diventare giocatore, poi dietro la scrivania come video analyst. Simone Beccaccioli, l'uomo dietro le quinte della Roma, si è raccontato nel match program di Roma-Cagliari. Queste le sue parole:

Nei dettagli, oggi quali sono i suoi compiti qui alla Roma?

Il mio compito è organizzare il lavoro video a servizio della squadra. Il frutto del mio lavoro serve al mister per preparare la partita, e viene dato in visione ai giocatori. In primis il mio impegno è mettere a disposizione del mister, nella maniera più sintetica possibile, la gara giocata così che lui la possa analizzare, vedere ciò che andato bene o meno bene. A tutto questo c’è un supporto di grafiche e statistiche che otteniamo grazie agli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione.

Nel calcio attuale si parla sempre più di numeri e statistiche; com’è cambiato il ruolo del video analyst da quando hai iniziato a fare questo mestiere?

Il mio lavoro è cambiato in parallelo con il cambiamento del calcio. Fino a dieci, quindici anni fa il calcio era diviso in macro aree, la fase difensiva e offensiva o le transizioni… Oggi grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione e agli allenatori che hanno una preparazione molto più dettagliata, tutto è più complesso. Tutto si è adattato alla proposta tecnologica che abbiamo nel calcio.

Cosa accade nei dettagli?

Oggi si può interamente mappare una partita per zone del campo e avere una visione molto più integrale della gara. Ci sono molti più dettagli da seguire e il mio lavoro diventa sempre più importante, fondamentale… per un allenatore che vuole sapere tutto! Gli allenatori negli ultimi anni cercano in ogni modo di creare svantaggi agli avversari sfruttando ogni piccolo dettaglio, ogni punto debole che una volta magari passava inosservato. Le informazioni che io passo all’allenatore gli permettono di lavorare al meglio.

Com’è cambiato l’approccio dei calciatori al suo lavoro?

È cambiato il giocatore tipo. Prima il calciatore affrontava molto di più il discorso di campo, doveva pensare solo all’allenamento e alla partita. Oggi per un calciatore sapere chi sarà il suo avversario nei dettagli lo agevola. Il giocatore scende in campo con delle nozioni più complete.

Di Francesco ha raccontato di averle chiesto di dare a Kolarov alcune indicazioni su Ismaylov del Qarabag, proprio poco prima dell’ultimo match di Champions League. Ci racconta l’episodio? Le capita spesso?

Sì capita spesso perché Di Francesco vuole essere sempre informato sugli avversari, per girare le notizie ai giocatori che scendono in campo. Nella settimana precedente la gara ci eravamo fatti un quadro della situazione molto completo ma all’ultimo momento c’è stato un cambio di formazione imprevisto. Il giocatore schierato in formazione non l’avevamo analizzato al 100% perché non ci aspettavamo scendesse in campo. Per di più non era una formazione del nostro campionato quindi la conoscevamo meno. Per i giocatori a pochi minuti dall’inizio della partita conoscere perfettamente il proprio avversario è importante, dà loro maggiore sicurezza.

Come e dove vede la partita? Inizia da subito l’analisi della gara?

Io vedo la partita nella panchina aggiuntiva in campionato e in Champions nella panchina principale. Per me è fondamentale sentire il mister quando dà le indicazioni alla squadra. Io cerco di immagazzinarle e poi di ritrovarle in video. Estrapolato l’episodio dal resto, la metto a loro disposizione magari con una visuale diversa e con delle statistiche a supporto. Durante i novanta minuti solitamente seguo la partita con un “live statistico” cercando di capire se c’è un riscontro grafico degli avvenimenti, e a fine primo tempo se c’è bisogno magari propongo qualcosa al mister. Il mister ha una lettura incredibile delle partite e poi il giorno dopo lo integra con il lavoro che gli fornisco io.

Ci sono giocatori che le vengono a chiedere di rivedersi in video dopo una partita giocata particolarmente bene o male?

Il mister comunque chiede a tutti i giocatori di guardare la partita giocata con il supporto tecnologico a disposizione, ad ognuno infatti viene messa a disposizione la propria partita. Sono quindi in grado di capire se hanno fatto bene o male e lo gestiscono direttamente con il mister. Con me possono fare una lettura più approfondita della loro prestazione per le gare che verranno.

Da questa stagione la Roma ha un nuovo direttore sportivo; il suo metodo di lavoro è cambiato in qualche aspetto?

No il mio lavoro di match analyst è chiaramente orientato al mister. Con il direttore Monchi ho un ottimo rapporto che si sta strutturando nel tempo. Lui si sta adattando alla grande e non ha certo bisogno del mio ausilio. Parlo e mi confronto con lui quando posso, rimanendo sempre in disparte.

La sua storia con la Roma ha radici lontane… Hai giocato nelle giovanili con Daniele De Rossi, è vero?

Sì, sono passato per le giovanili della Roma. Mi sembra irriverente dire che ho giocato con De Rossi, infatti ho provato in tutti i modi a ricordare una sola azione che abbiamo fatto insieme ma non sono riuscito a trovarla. Lui era un attaccante quando io giocavo alla Roma, un attaccante di grandi qualità tecniche. Poi ha avuto una evoluzione incredibile, sotto gli occhi di tutti, fino a diventare uno dei centrocampisti più forti del mondo. Non giocava con me… Eravamo insieme nella stessa rosa.

Caratterialmente quanto è cambiato De Rossi?

Da ragazzo era un giocherellone, avevamo stretto un buon rapporto e non siamo rimasti in contatto credo perché a quei tempi non c’erano i telefonini! L’ho ritrovato ai Mondiali nel 2006 e lui era già un giocatore affermato.

Quando ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo?

Quando ho cominciato a lavorare! Quando ho visto che era il momento di fare sul serio, perché per me il calcio giocato è sempre stato solo un divertimento. Non ho sperato mai, neppure un secondo di diventare un calciatore. Soprattutto ora che li vedo da vicino, che studio le qualità che hanno, non avrei mai potuto diventare un professionista. La decisione di smettere è arrivata quando ho avuto l’occasione di poter integrare la mia passione per il computer con il calcio e ho capito che la mia strada era segnata. Per me è stato il modo di rimanere nel mondo del calcio.

Ha parlato dell’esperienza ai Mondiali 2006. Cosa ricorda?

In quella occasione il mio lavoro è stato davvero marginale. Eravamo due analisti in quel gruppo. Mister Lippi è stato il primo ad avere l’intuizione di portare dei video analyst sul “posto”. Ai tempi era un supporto che si forniva via DVD, c’erano della società che fornivano questo servizio. Lui ebbe l’idea di portarci in loco per analizzare squadre che non si conoscevano bene. C’erano il Ghana, l’Ucraina e l’Australia, squadre che si conoscevano poco. È stato l’inizio di un’era… nel nostro settore.

Con Ranieri è arrivato alla Roma e poi ha lavorato con diversi allenatori; come è cambiato il suo lavoro con ognuno di loro?

Il mio lavoro alla Roma è cambiato grazie ai cambiamenti tecnologici che sono stati introdotti in questi anni. Da Ranieri, passando per Luis Enrique, Andreazzoli, Zeman, Garcia, Spalletti, e oggi Di Francesco non sono cambiate le richieste degli allenatori ma è cambiato il supporto tecnologico. Sono stato io in questi anni ad adattarmi alla visione di gioco di ogni allenatore, sfruttando la tecnologia al meglio e al massimo. La fase vissuta con Luis Enrique è stata in un momento di svolta; credeva fermamente nella video analisi, studiare i dettagli di ogni gara. Dopo aver riguardato le partite, le riorganizzava per poterle sottoporre alla squadra in maniera molto meticolosa e incredibilmente organizzata. Per me è stata una novità il suo modo di lavorare, un allenatore straniero che ha portato nuove idee, che non si sono rivelate del tutto vincenti e neppure esportabili, ma assolutamente innovative.

Andiamo all’attualità, tatticamente, che tipo di avversario sarà il Cagliari?

Il Cagliari è una squadra composta di giocatori di un certo livello rispetto alle altre squadre che si trovano nella stessa zona della classifica. Giocatori come Pavoletti, João Pedro, Cigarini, Barella sono pedine di qualità.

Come approcciano alla gara?

Il loro modo di gioco, il loro approccio è aggressivo. Soprattutto in casa, recuperano tanti palloni nella metà campo avversaria. Però la nostra costante positiva di quest’anno è stato costringere l’avversario alla nostra partita, e dovremmo fare così anche sabato. Dobbiamo giocare come vuole il mister, ricordo solo pochi spezzoni di partita in cui non abbiamo costretto la squadra avversaria a dover attuare un atteggiamento difensivo. Solo episodi di una stagione.

Quindi?

Dovremmo fare la nostra partita, costringendo l’avversario, tornando alla statistiche, ai nostri numeri, ai nostri concetti.

Quali sono i punti di forza di questa Roma?

Sicuramente l’allenatore. E a cascata il gruppo. Il tecnico Di Francesco ha portato una mentalità da squadra di alto livello europeo. La partita con il Chelsea a Londra è la testimonianza che questo gruppo ha una mentalità che prescinde dall’avversario, un gruppo che segue l’allenatore, che si sta stringendo sempre di più partita dopo partita, vittoria dopo vittoria e pareggio dopo pareggio. Nella gara contro il Chievo ha fatto benissimo, ma non ha portato i frutti sperati. Ancora una dimostrazione di grande forza dovuta all’allenatore e al gruppo che si e creato intorno a lui.