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Bartelt: “La Roma mi ha abbandonato ma non ho rancore, solo amore”

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Gustavo Bartelt, detto "il bello", è stato una figura particolare all'interno della Roma. L'argentino ha raccontato la sua esperienza nella capitale e quello che successe con Capello e la società

Redazione

Gustavo Bartelt è ricordato dai tifosi romanisti per la sua prestazione nella partita contro la Fiorentina, che finì 2-1 per i giallorossi proprio grazie all'ingresso in campo dell'argentino. La sua è una storia particolare conclusasi con un addio alla Roma molto discusso, ma tanti tifosi non hanno mai capito cosa sia veramente accaduto. A spiegarlo è stato proprio l'ex attaccante, con un'intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport. 

Com'era il tuo rapporto con Franco Sensi?"All’inizio era buono. Appena mi vide, per scherzo, disse di tagliarmi i capelli e coprirmi i tatuaggi. Non sapeva neanche lui perché non giocassi, ma non potevo dirgli che con Zeman non c’era rapporto. Con la testa che ho adesso di sicuro avrei fatto altre scelte".

Ci spieghi com'è andata con Capello?"In modo strano. Quando tornai a Roma dopo le vacanze la società mi disse in modo chiaro che non mi voleva nessuno, né loro e né Capello. Io dico ‘Ok, ma vorrei provare a fargli cambiare idea durante la preparazione. All’inizio era iniziata bene in realtà. Prima amichevole in ritiro a Kapfenberg, nota che sono seduto in un angolo e mi chiede cosa ci facessi lì. ‘Mister, so che non mi vuole’, gli rispondo. Lui replica che non è vero e mi reintegra in rosa. Sei spezzoni di partita fino a gennaio, poi non ho più visto il campo”.

Poi che è successo?“La Roma mi ha abbandonato. Mi sono fatto due anni in prestito, poi c’è stato lo scandalo passaporti e sono stato squalificato. Dal 2001 al 2003 la società non mi ha pagato lo stipendio. Sono andato 5 volte a parlare con la Federcalcio, ma alla fine non ho visto un soldo. Non potevo neanche allenarmi a Trigoria. Ricordo Aldair e Totti, spesso mi chiedevano come mai la Roma mi stesse facendo questo. Non volevano neanche darmi in prestito. Potevo andare in Germania, in Svizzera o tornare in Argentina, ma nulla. Forse ce l’avevano con il mio agente, non lo so, ma mi sono sentito isolato”.

C'è rancore?"Nessun rancore, solo amore. Mi sono tatuato lo stemma della Roma, perché la gente mi ha voluto bene. Quando passeggiavo per strada mi fermavano tutti. Per me la Roma è un sentimento, uno stato d’animo, ancora oggi vedo le partite e mi informo su qualsiasi cosa. Il mio rimpianto più grande è quello di non aver giocato neanche un minuto nell’anno dello scudetto”.

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