Una sorta di rivoluzione culturale la iniziò anche lui tanti anni fa, proponendo una roba che agli occhi dei romanisti sembrava poco più che una provocazione: la lupa capitolina sostituita da un lupetto più “aggressivo” e commercializzabile per rimediare ad alcuni problemi di bilancio.
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Anzalone: “Rispetto DiBenedetto, ma avrei preferito un imprenditore romano”
Una sorta di rivoluzione culturale la iniziò anche lui tanti anni fa, proponendo una roba che agli occhi dei romanisti sembrava poco più che una provocazione: la lupa capitolina sostituita da un lupetto più “aggressivo” e commercializzabile...
L'idea innovativa fu di Gaetano Anzalone, uno dei presidenti più “longevi” della storia giallorossa. Era l'estate del '78, la Roma presentò la nuova linea con quel simbolo creato da Piero Gratton, un genio della grafica. Successivamente, fu Franco Sensi, nel '97, a riportare a Trigoria (e sulle maglie) l'emblema cittadino, ma quel lupetto aveva fatto il giro del mondo.“Bisognava dare ossigeno alle casse societarie, non particolarmente floride. Con quell'iniziativa di merchandising qualcosa riuscimmo a guadagnare”, dice Anzalone a distanza di trentatrè anni, ricordando quei giorni da padrone – otto anni, dal '71 al '79 – con un pizzico di rammarico per quello che poteva essere e non è stato.Oggi, a 81 anni, oltre che a dedicarsi alla sua attività di imprenditore edile, osserva la Roma da semplice tifoso, incuriosito come tanti altri dal progetto americano e dalla rivoluzione culturale diLuis Enrique.
I tempi sono cambiati, Anzalone, la Roma è di proprietà di un gruppo statunitense. Che effetto fa?“Dico la verità, non conosco questi signori, però hanno dimostrato di avere subito le idee chiare, volendo mettere su una squadra di giovani. Lo feci anche io nel '77, verso la fine della mia gestione. Decisi di promuovere in prima squadra i ragazzi della Primavera Campione d’Italia (nel suo studio conserva ancora una foto di quella formazione, ndr) e di vendere qualche calciatore in là con gli anni. Una scelta oculata, anche perché un paio di quelli che mandai via successivamente furono implicati nello scandalo scommesse: Morini, che diedi al Milan, e Stefano Pellegrini al Bari”.dice Gaetano Anzalone intervistato da laroma24.it
Lungimirante.“All'inizio venni criticato, ma col tempo fui capito”.
Tornando al gruppo DiBenedetto?“Lo rispetto, ma avrei preferito una cordata di imprenditori romani, più conoscitori della nostra realtà”.
Dei suoi amici costruttori, nessuno si è mai interessato davvero a rilevare il pacchetto di maggioranza?“Qualche nome è uscito sui giornali, ma il problema era uno: chi si presentava da solo, si spaventava dei conti “pesanti”. Magari con l'unione di più forze sarebbe stato più facile”.
Fa riferimento ad Angelucci o Toti?“Beh, diciamo che a Toti sarebbe piaciuto molto diventare presidente...”.
Apprezza il progetto dei manager di Boston?“Come ho già detto, puntare sui giovani è una scelta giusta. Ma non capisco, per esempio, perché, a parte i giocatori arrivati sul mercato, non si sia puntato su uno o due elementi del vivaio. Sono stati buttati nella mischia solo all’inizio della stagione, poi si è deciso di prendere elementi stranieri. Bravi, non discuto, ma a quel punto non sarebbe stato meglio crescere in casa i talenti? E poi, mi permette una critica garbata?”.
Prego.“Dal mio punto di vista, è stata sbagliata la gestione del caso Totti. È giusto porsi alcune domande su un giocatore di trentacinque anni, rientra nella logica imprenditoriale, ma almeno Baldini avrebbe potuto essere più sensibile rilasciando quelle dichiarazioni. Non si può definire “pigro” uno con la storia di Francesco”.
Ci crede nella costruzione di uno stadio tutto della Roma?“Non credo che qui si arriverà mai all'edificazione di un nuovo impianto. A Torino è stato possibile perché la Juventus in Italia può tutto, a Torino non ne parliamo. Qui ci sono alcune difficoltà dal punto di vista urbanistico e non solo. Chi si presenta con un progetto, poi vuole costruire intorno supermercati, cinema e quant’altro. Mi è capitato di leggere il piano regolatore e l’unica area possibile è una sulla Roma-Fiumicino, dove è permessa la costruzione di campi sportivi. Mi sembra difficile, però. Servirebbe un impianto di almeno centoventimila posti, farlo da meno di cinquantamila spettatori non avrebbe senso. E poi, per me l’Olimpico resta lo stadio più bello. Peccato solo per i lavori di Italia Novanta, che hanno peggiorato la struttura”.
Tra Sensi e Viola?“Sensi ritrovò le macerie lasciate da Ciarrapico. Ha fatto qualche errore, ha speso un patrimonio, è riuscito a rientrare solo parzialmente degli investimenti fatti. Quando si è ammalato si è ritrovato cinque donne intorno, che per un verso o per l’altro, hanno avuto a che fare con la gestione del club. Rosella se l’è cavata, ma ha fatto tutto da sola, sopportando pure qualche critica vergognosa dei tifosi. Viola, invece, ereditò una squadra di giovani e col bilancio a posto. Lui si sapeva muovere bene, aveva tanti canali giusti”.
Tipo la politica?“Negli ultimi anni non credo che la politica sia entrata particolarmente nelle vicende giallorosse, ma in passato sì. Io, comunque, non godevo di certi appoggi”.
Non piaceva ad Andreotti?“Lo ha detto lei...”
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