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Ancelotti, riflessi di Roma: la risposta in dialetto a Giacomo fa sognare i tifosi

Ancelotti, riflessi di Roma: la risposta in dialetto a Giacomo fa sognare i tifosi - immagine 1
L'allenatore del Real Madrid protagonista del podcast di Giacomino Poretti: non sfugge il dettaglio dell'uscita in romanesco per spiegare il rapporto con i giocatori
Redazione

La Roma non ha ancora un allenatore per la prossima stagione, con il casting che va avanti ormai da qualche tempo. Claudio Ranieri anche ieri ha fatto intendere di non aver cambiato idea sul suo ruolo che diventerà quello di dirigente, lasciando la panchina. Da Farioli ad Allegri, Gasperini, De Zerbi, Fabregas fino ad arrivare al sogno di tanti tifosi (e non solo) Carlo Ancelotti. Il contratto fino al 2026 con il Real Madrid e la volontà espressa dal mister di restare ai Blancos rimanda ogni decisione a Florentino Perez, che potrebbe decidere di cambiare e aprire un nuovo ciclo con Xabi Alonso. Per la Roma la strada che porta a 'Carletto' è sicuramente in salita, ma per lui sarebbe anche una questione di cuore, al netto di tutte le altre problematiche legate al livello attuale della rosa e alle prossime finestre di mercato. Un po' di Roma Ancelotti se la porta sempre dentro dopo gli anni in cui ha vestito la maglia giallorossa, e lo dimostra anche nella sua ultima intervista. Durante il 'Poretcast', il podcast targato Giacomo Poretti che ha fatto visita al mister a Madrid, Carlo spiega la sua visione del rapporto con i calciatori e si lascia scappare una frase in romanesco: "Mi piacerebbe essere una mosca che quando un giocatore non gioca, va a casa, cosa può dirgli l’agente o l’amico dell’agente o il giocatore? Esatto, non è che gli dici ‘datte na svegliata!’" Un'uscita, un 'riflesso', che avrà fatto fare un sussulto ai tifosi giallorossi, che magari se lo immaginano nella capitale per affinare di nuovo il dialetto.

Sull'argomento Ancelotti ha continuato: "Tanti giocatori mi hanno fatto delle scenate, ho avuto problemi con tanti ma alla fine si sono sempre risolti. C’era un giocatore, non faccio il nome, che quando io parlavo nello spogliatoio lui si metteva l’asciugamano davanti per non ascoltare. Era agli inizi della carriera, un giorno gli ho detto ‘non possiamo andare avanti così'. Ci sono giocatori che se li metti in panchina la mattina dopo fanno fatica a salutarti. Lì si confonde l’uomo e l’allenatore. Tu sei Giacomo e fai l’attore. Tu fai l’attore, non sei l’attore. Loro non sono giocatori, sono persone che giocano a calcio. Io non sono l’allenatore, faccio l’allenatore e mi pagano per fare delle scelte, prendermi responsabilità, decidere se il giocatore va in panchina, non la persona. Allora il giocatore confonde questo, viene la mattina e dice ‘Carlo che è l’allenatore’, ma no, io faccio l’allenatore. Lui pensa che io sono allenatore e non mi saluta, se pensa che faccio l’allenatore mi saluta. Gliel’ho spiegato ad alcuni e mi hanno salutato".