(di Mirko Porcari) - “Il closing non ci sarà il primo agosto”. Eccola, l’ennesima tappa di un viaggio fatto di tante date e poche certezze:
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America', quando “closing”?
(di Mirko Porcari) – “Il closing non ci sarà il primo agosto”. Eccola, l’ennesima tappa di un viaggio fatto di tante date e poche certezze:
nel corso di questi mesi il vocabolario del tifoso romanista si è arricchito di termini presi in prestito dal mondo della finanza, una contaminazione vera e propria di una passione uscita piano piano dal limite dei confini sportivi.
L’autunno scorso si è consumato tra “Memorandum” e “Short List”, uno stillicidio che ha accompagnato le disgraziate vicende della squadra: calciatori nel rettangolo verde con la mente viaggiante, distratta dall’alibi dell’incertezza societaria, pronti a voltare le spalle alla frustrazione degli appassionati giallorossi. “Siamo vicini, a breve ci sarà la chiusura”. A turno, personaggi più o meno vicini alla rivoluzione capitolina, si sono avvicendati nel pronosticare la fumata bianca, un esercizio che nel tempo ha perso la sostanza a favore di un crescente scetticismo. Tra gennaio e febbraio, mentre Ranieri conosceva gli ultimi momenti dell’avventura “a casa sua”, la vera partita iniziava a giocarsi sul filo dei nervi: voli transoceanici alla ricerca di conferme, Unicredit che arriva a New York per dare corpo alle referenze cartacee offerte da Rotischild, la luce che comincia a filtrare alla fine di un tunnel che sa di dramma sportivo.
A Roma l’interrogativo è d’obbligo: quasi nessuno sa, tanti immaginano, le opinioni si formano e mutano minuto dopo minuto. C’è mistero, i protagonisti si trincerano dietro lo scudo della Consob, gli unici a parlare sono i giornali: budget, colpi di mercato e progetti futuri. Sognare non è più un tabù, da Buffon a Guardiola l’immaginario collettivo si infiamma grazie all’inchiostro. Su Internet è caccia alla foto: conosciuti i nomi dei membri della cordata, la ricerca delle immagini diventa lo sport preferito. Scatti in bianco e nero di Thomas DiBenedetto fanno il giro della capitale, nell’estasi generale lo Zio Tom si materializza alla fine di marzo. “Stiamo trattando, la conclusione è vicina”. Cambia la forma, non il succo: la gita romana del magnate bostoniano è considerato il preludio alla fine, ma dopo un blitz dalle parti di Testaccio tutto è rimandato alla trasferta nel Massachusets.
Carovane di giornalisti si spostano verso gli Stati Uniti, il 16 aprile esce un comunicato ufficiale che rende noto l’accordo per il passaggio della Roma al gruppo a stelle e strisce: sospiro di sollievo più che felicità, una leggerezza mitigata dagli aspetti burocratici e dalle condizioni di un affare quantomeno intricato. Clausole su clausole e termini che slittano all’infinito: dopo mesi passati a cercare di cogliere il minimo movimento, luglio rappresenta la svolta. Conferenza stampa, ritiro, scelta dell’allenatore e definizione dell’organico: neanche il tempo di rilassarsi, magari gustando l’approccio innovativo di Luis Enrique, ed ecco le minacciose nubi del fallimento.
Ci sono i soldi di mezzo, tassi e interessi da definire, dopo il silenzioso stop di Londra (il 12 luglio) ancora dubbi sulla felice conclusione della vicenda: “Noi abbiamo fatto quello che dovevamo, anche di più, adesso la palla passa agli amici Americani” le parole di Roberto Cappelli, addolcite nel corpo (“amici”) ma non nell’anima. Appuntamento ad agosto, dunque, sperando che non sia troppo tardi per la nuova Roma.
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