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Le due verità della Roma: l’ambizione di Monchi-Pallotta e il realismo di Totti-Di Fra

LaPresse

L’ex capitano ha parlato oggi ammettendo l’inferiorità alla Juve. Meno di due mesi fa il ds parlava di scudetto

Valerio Salviani

“Le parole sono importanti” urlava a una giornalista un esasperato Nanni Moretti nel suo “Palombella rossa”, uno di quei film che vivi bene anche se non l’hai visto, ma che quando lo scopri ti chiedi come mai non l’hai visto prima. Che se ci pensate è un po' è il limbo dove sono andati a finire i tifosi della Roma, che vivevano benissimo anche senza sapere di plusvalenze, bilanci e Fair Play Finanziario, ma che una volta scoperti hanno pensato “ma come era essere tifosi prima? Ma quanto era bello essere tifosi prima?”. Sognare un po’, prima di posare la sciarpa e riprendere la calcolatrice. Adesso la realtà ha il volto di un uomo calvo, con la barba e l’accento andaluso che ti dice che anche se la Juventus ha Ronaldo, per la Roma “lo scudetto non è un’utopia”. Era il 10 luglio scorso, quasi due mesi fa, era partito Nainggolan ma si presentava Cristante (“il miglior centrocampista della scorsa stagione”). Alisson e Strootman erano al loro posto, così come Monchi, da un anno e mezzo a questa parte.

LA VERITÀ DI TOTTI

Oggi, quasi due mesi dopo, da quelle stesse frequenze radio Francesco Totti dice ai tifosi che non si devono illudere, perché “la Juventus fa un campionato a parte” e le altre lottano per il secondo posto (anche se ha specificato: "Non deve essere un alibi: la squadra è forte e deve lottare per vincere"). Lo aveva già detto in altra sede, in un contesto diverso e con toni diversi, e nessuno gli aveva creduto (era il 5 ottobre del 2014, la partita era Juve-Roma, l’arbitro era Rocchi). Poi è andata come è andata, come va sempre. Oggi quelle stesse parole però hanno un sapore diverso, più amaro. Le dice chi ha il peso dei cuori dei tifosi sulle spalle. Nessuna campagna elettorale, niente proclami. Non li fa Totti, che comunque resta vicino alla sua società, non li fa DiFrancesco, che dopo l’arrivo di Ronaldo ai bianconeri a domanda precisa se l’è cavata con “l’obiettivo è migliorare”, dopo che lo scorso gennaio aveva esplicitamente spiegato che la sua squadra non era da primo posto. La Roma vende più delle altre, vince poco (da sempre) e non può permettersi di raccontare al mondo che è pronta a conquistarlo. E non può permettersi di raccontarlo ai tifosi. Chi c’era quando la parola plusvalenza era ancora roba da laureati in economia, non lo dice.

LA SECONDA VERITÀ

Poi c’è l’altra verità quella di chi la Roma la vive da fuori, o la vive da poco. Quella che è buona sempre, ma non è buona mai. “La Roma vincerà lo scudetto in 5 anni” è stato lo slogan di Pallotta al suo arrivo, sbandierato come fosse una certezza. E poco importa se poi non è successo e se non ci si è andati neanche vicino. “Scudetto? Siamo abbastanza forti per rivincerlo” ha detto nuovamente il presidente lo scorso novembre. Dietro di lui Baldissoni, il suo braccio destro nella capitale: “Scudetto? Lottiamo per competere ogni anno. Tutte le cessioni sono tecniche, vogliamo fare una squadra forte”. Ma dove sta la verità? I conti e i numeri di certo non mentono. Per parlare con chi la Roma la vive davvero, basta la verità e le parole giuste. Perché le parole sono importanti. E Totti lo sa.